Tania Bruguera: la verità anche a scapito del mondo

Si potrebbe dire che Tania Bruguera è un’attivista politica più che un’artista, ma proprio per questo, una grande artista, certamente una delle più influenti nel mondo dell’arte contemporanea. Per chi volesse entrare nella materia viva della sua arte, al Pac di Milano fino al prossimo 13 febbraio le performance e le opere di “La verità anche a scapito del mondo”. Le performances di Tania Bruguera non sono però meri esercizi estetici o stramberie concettuali, sono atti partecipativi che hanno le loro radici nella denuncia della violazione dei diritti umani e in particolare, soprattutto in questa mostra del Pac, di quelli del popolo cubano e dei migranti.

“Fiat veritas et pereat mundus” è la citazione latina che la filosofa Hannah Arendt pronunciò in risposta al giornalista Gunther Gaus alla televisione tedesca negli anni Sessamta: sia detta la verità anche a scapito del mondo, appunto. Verità difficili da ammettere, ma anche più difficili da nascondere. E proprio in omaggio ad Hannah Arendt si apre la mostra: nella stanza uno una sedia a dondolo sulla quale sedersi e dare lettura di un fondamentale testo della della Arendt, “Le origini del totalitarismo”, così come fece la Bruguera il 20 maggio del 2015, aprendo la sua casa a L’Avana e dalla cui esperienza nacque l’INSTAR, ovvero l’Instituto dell’Artivismo Hanna Arendt” che porta avanti una sorta di alfabetizzazione civica contro ogni dittatura.

Alle spalle della sedia a dondolo, un’altra notissima opera, la bandiera dell’Unione Europea, le cui stelle sono unite da una cucitura a guisa di filo spinato realizzata da ex deportati nei lager nazisti. In circa dieci anni l’Europa ha costruito più muri di quanti ne abbia abbattuti e questa opera esplicita è lì a ricordarcelo impietosamente, come è giusto che sia. La parte performativa della mostra ci offre la seconda stanza “Sin Titulo” dove i visitatori vengono condotti da un performer in uno spazio invaso dal buio più assoluto ed improvvisamente illuminati ad intervalli regolari da accecanti fari. L’allusione alle pratiche dei controlli sui migranti è più che evidente.

La terza stanza accoglie un’installazione sensoriale realizzata per la Turbine Hall della Tate Modern di Londra nel 2018. Un locale bianco in cui si entra solo dopo che una performer vi appone un timbro su una mano che riporta il numero, sempre aggiornato, delle persone che nell’ultimo anno hanno attraversato il Mediterraneo, o hanno cercato di farlo senza riuscirci. A me è capitato il numero 22.951… All’interno una sostanza al mentolo induce una copiosa e forzata lacrimazione. “Tabla de salvacíon” è l’allusiva opera dedicata alle imbarcazioni di fortuna usate dai cubani in fuga dal regime castrista tra il 1959 e il 1966. Ricordiamo che anche Tania Bruguera fu costretta a fuggire dall’isola con la famiglia. “Estadistica” è invece una bandiera cubana formata da capelli donati da cittadine e cittadini cubani, una chiara significazione di collettività, di legame, in fin dei conti di “popolo”.

La stanza cinque è il luogo di un’altra performance particolarmente intensa. Condotti al buio totale i visitatori assistono all’operazione di un uomo che armato di una smerigliatrice è al lavoro su un’insegna, una delle più tremende insegne della storia umana, quella apposta sul campo di sterminio di Auschwitz, quell’ “Arbeit Mach Frei” che risuonerà per sempre come il beffardo motto dei persecutori di tutto il mondo. L’artista prese spunto dal furto della scritta compiuto da cinque giovani nel 2009.

Cosa fa l’operaio-performer? È intento a distruggerla oppure a ripararla? È questo il drammatico dilemma che vuole suscitare in noi Tania Bruguera. Nel parterre del Pac (quale luogo più adatto), una lunga e utopistica scritta che invoca l’ONU a trasformare la Palestina e Israele in un’unica nazione, anzi in una non-nazione, quella dei popoli migranti di tutto il mondo. Infine nell’ultima stanza al primo piano del padiglione, la performance presentata alla “Bienal de la Habana” del 2000 e subito censurata dalle autorità, dove due giovani uomini nudi enunciano uno ad uno i nomi di oltre cinquecento detenuti per ragioni politiche a Cuba (ricordiamo che anche Tania Bruguera fu interrogata e incarcerata più volte). I visitatori percorrono la lunga sala camminando su cortecce di canna da zucchero in decomposizione, ambientazione che rende ancora più drammatica e lugubre l’azione artistica. Questa di Milano è certamente un’occasione da non perdere per prendere contatto diretto con una realtà terribile e dimenticata o ancora peggio, colpevolmente ignorata.

Tania Bruguera, con Mona Hatoum, Ilya ed Emilia Kabakov, Ai Weiwei, magari anche Banksy e alcuni altri, è certamente tra i più grandi artisti-performer politicamente e civilmente impegnati, forse sarebbe meglio dire, militanti come accennavo all’inizio. Quando l’arte dimentica la società e la politica, rischia, molto spesso di diventare mero esercizio formale ed in questo momento storico in particolare, non è un lusso che possiamo permetterci.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Tania Bruguera: la verità anche a scapito del mondo

Si potrebbe dire che Tania Bruguera è un’attivista politica più che un’artista, ma proprio per questo, una grande artista, certamente una delle più influenti nel mondo dell’arte contemporanea. Per chi volesse entrare nella materia viva della sua arte, al Pac di Milano fino al prossimo 13 febbraio le performance e le opere di “La verità anche a scapito del mondo”. Le performances di Tania Bruguera non sono però meri esercizi estetici o stramberie concettuali, sono atti partecipativi che hanno le loro radici nella denuncia della violazione dei diritti umani e in particolare, soprattutto in questa mostra del Pac, di quelli del popolo cubano e dei migranti.

“Fiat veritas et pereat mundus” è la citazione latina che la filosofa Hannah Arendt pronunciò in risposta al giornalista Gunther Gaus alla televisione tedesca negli anni Sessamta: sia detta la verità anche a scapito del mondo, appunto. Verità difficili da ammettere, ma anche più difficili da nascondere. E proprio in omaggio ad Hannah Arendt si apre la mostra: nella stanza uno una sedia a dondolo sulla quale sedersi e dare lettura di un fondamentale testo della della Arendt, “Le origini del totalitarismo”, così come fece la Bruguera il 20 maggio del 2015, aprendo la sua casa a L’Avana e dalla cui esperienza nacque l’INSTAR, ovvero l’Instituto dell’Artivismo Hanna Arendt” che porta avanti una sorta di alfabetizzazione civica contro ogni dittatura.

Alle spalle della sedia a dondolo, un’altra notissima opera, la bandiera dell’Unione Europea, le cui stelle sono unite da una cucitura a guisa di filo spinato realizzata da ex deportati nei lager nazisti. In circa dieci anni l’Europa ha costruito più muri di quanti ne abbia abbattuti e questa opera esplicita è lì a ricordarcelo impietosamente, come è giusto che sia. La parte performativa della mostra ci offre la seconda stanza “Sin Titulo” dove i visitatori vengono condotti da un performer in uno spazio invaso dal buio più assoluto ed improvvisamente illuminati ad intervalli regolari da accecanti fari. L’allusione alle pratiche dei controlli sui migranti è più che evidente.

La terza stanza accoglie un’installazione sensoriale realizzata per la Turbine Hall della Tate Modern di Londra nel 2018. Un locale bianco in cui si entra solo dopo che una performer vi appone un timbro su una mano che riporta il numero, sempre aggiornato, delle persone che nell’ultimo anno hanno attraversato il Mediterraneo, o hanno cercato di farlo senza riuscirci. A me è capitato il numero 22.951… All’interno una sostanza al mentolo induce una copiosa e forzata lacrimazione. “Tabla de salvacíon” è l’allusiva opera dedicata alle imbarcazioni di fortuna usate dai cubani in fuga dal regime castrista tra il 1959 e il 1966. Ricordiamo che anche Tania Bruguera fu costretta a fuggire dall’isola con la famiglia. “Estadistica” è invece una bandiera cubana formata da capelli donati da cittadine e cittadini cubani, una chiara significazione di collettività, di legame, in fin dei conti di “popolo”.

La stanza cinque è il luogo di un’altra performance particolarmente intensa. Condotti al buio totale i visitatori assistono all’operazione di un uomo che armato di una smerigliatrice è al lavoro su un’insegna, una delle più tremende insegne della storia umana, quella apposta sul campo di sterminio di Auschwitz, quell’ “Arbeit Mach Frei” che risuonerà per sempre come il beffardo motto dei persecutori di tutto il mondo. L’artista prese spunto dal furto della scritta compiuto da cinque giovani nel 2009.

Cosa fa l’operaio-performer? È intento a distruggerla oppure a ripararla? È questo il drammatico dilemma che vuole suscitare in noi Tania Bruguera. Nel parterre del Pac (quale luogo più adatto), una lunga e utopistica scritta che invoca l’ONU a trasformare la Palestina e Israele in un’unica nazione, anzi in una non-nazione, quella dei popoli migranti di tutto il mondo. Infine nell’ultima stanza al primo piano del padiglione, la performance presentata alla “Bienal de la Habana” del 2000 e subito censurata dalle autorità, dove due giovani uomini nudi enunciano uno ad uno i nomi di oltre cinquecento detenuti per ragioni politiche a Cuba (ricordiamo che anche Tania Bruguera fu interrogata e incarcerata più volte). I visitatori percorrono la lunga sala camminando su cortecce di canna da zucchero in decomposizione, ambientazione che rende ancora più drammatica e lugubre l’azione artistica. Questa di Milano è certamente un’occasione da non perdere per prendere contatto diretto con una realtà terribile e dimenticata o ancora peggio, colpevolmente ignorata.

Tania Bruguera, con Mona Hatoum, Ilya ed Emilia Kabakov, Ai Weiwei, magari anche Banksy e alcuni altri, è certamente tra i più grandi artisti-performer politicamente e civilmente impegnati, forse sarebbe meglio dire, militanti come accennavo all’inizio. Quando l’arte dimentica la società e la politica, rischia, molto spesso di diventare mero esercizio formale ed in questo momento storico in particolare, non è un lusso che possiamo permetterci.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.