Quando il Centre Pompidou di Parigi propone una mostra di un’artista che conosco solo di nome, che conosco poco o che non conosco affatto, allora parto per Beaubourg sempre con fiducia e, in quasi 45 anni, credo di non essere mai incappato in una delusione. E con lo stesso spirito (e il medesimo risultato) che,in una assolata mattina di fine agosto, sono andato a visitare “Le Grand Atlas de la Désorientation, la superba esposizione di Tatiana Trouvé che ha appena chiuso i battenti. Ed effettivamente da c’è restare disorientati, ma nel migliore dei sensi, diciamo quello benjaminiano, che considerava il perdersi come una cosa tutta da imparare.
Gli ambienti dipinti di Tatiana Trouvé sono luoghi di lavoro, cantieri dove la figura umana è assente e dove non è ben definito quali siano (stati) i lavori intrapresi. A ben guardare, ogni luogo di lavoro, ogni “cantiere” per usare un termine tecnico della sicurezza sul lavoro, è un luogo di mistero per i non addetti ai lavori che non ne riconoscono gli strumenti e non comprendono appieno quali siano i processi o le dinamiche di una specifica professione. Dove meglio che in un cantiere di lavoro ci si può sentire “spaesati”, dove meglio che in un luogo reale può definirsi la dialettica con il luogo (irreale) del sogno?
Durante il lockdown del 2020 Tatiana Trouvé è nel suo atelier di Montreuil , alla periferia di Parigi, in compagnia del suo cane ed è qui a concepire alcune di queste grandi tele riunite nella serie “From March to May”. Favorita dalla solitudine dei luoghi ritrasmessi nei video di tutti i media, la Trouvé dedica grande attenzione anche al paesaggio naturale, che sembra aver trovato, ovunque nel mondo, il suo stato selvaggio. Ed è così anche per i luoghi sospesi in uno stato di abbandono da fine del mondo, come tutti ci ricordiamo. La domanda che ci si pone è se queste grandi tele, posizionate ad arte (alcune pendono dal soffitto al centro del grande spazio espositivo), costituiscano un atlante dei luoghi, come suggerito dal titolo, oppure siamo essi stessi veri e propri mondi del sogno e del mistero. Il dubbio non è solo lecito, ma legittimo, in considerazione anche della terza sezione della mostra che si intitola “Remanence” e che raccoglie opere dal 2008 con soggetti evanescenti, fantasmatici, presenze misteriose.
Figure umane, di donne soprattutto, che sembrano essere solo ormai presenze retiniche dopo la loro scomparsa. Dell’esposizione fanno parte anche una serie di sculture che testimoniano anch’esse il passaggio di “presenze” che tali non sono più: oggetti, arredi, suppellettili che portano con sé echi di una precedente presenza umana, non tangibile, ma testimoniata dall’opera stessa. Ta
tiana Trouvé (nata tra l’altro in Italia, a Cosenza) riesce a disorientarci, ma nello stesso tempo però a rassicurarci che la presenza umana è l’unica certezza per la possibilità di continuare a costruire sogni.