Se decidete di andare a vedere “The French Dispatch” è meglio che vi scordiate Maurizio Porro che come un disco rotto si ostina a non capire o a fingere di non capire che il cinema di Wes Anderson è “altro”. Qualcuno potrebbe anche affermare, a torto o a ragione, che non sia cinema e magari ha pure ragione, ma quello che è certo, è che non si può guardare questo film con il “Mereghetti” tra le mani (ma magari con il “Sadoul” sì), mentre si può guardarlo tranquillamente se si ama il “decor”, se si ama la “bande dessinée” (non per nulla è stato girato ad Angoulême capitale mondiale del fumetto), se si ama quel genere di cinema, che annovera tra le sue fila, gioielli come “Delicatessen”di Junette e Caro, “Il favoloso mondo di Amelie”, sempre di Junette ma anche film come “Ombre e Nebbie” di Woody Allen. È un cinema “pretestuoso” dove le storie, non sono importanti per ciò che raccontano, ma per come vengono raccontate.

Come è noto “The French Dispatch” (che chiaramente allude a “The New Yorker”), è il supplemento del “The Evening Sun” di Liberty in Kansas, fondato dal giornalista Arthur Howitzer, il cui figlio Arthur Howitzer Jr., dopo aver radunato i migliori giornalisti sulla piazza di Ennui-sur-Blasé (una città che assomiglia molto alla Parigi di “Appuntamento a Belleville” o di “Mon oncle d’Amerique”), li incarica di seguire una serie di vicende ed in particolare l’epopea di un artista galeotto e della sua modella-carceriera, una storia d’amore in una contestazione studentesca (molto, molto simile al Maggio francese) e il rapimento del figlio di un commissario di polizia.

Alla sua morte il direttore Arthur Howitzer Jr. disporrà che l’ultimo numero della rivista sia una antologia del meglio di quanto pubblicato dal giornale. Anche il film di Wes Anderson è un’antologia delle meraviglie, di tutte le trovate scenografiche, dei decori, della grafica, di un certo grafismo cinematografico, ma anche dei mirabolanti dialoghi, della inesauribile galleria di personaggi irreali, surreali e iper-reali. Grande film, straordinario catalogo di poesia visiva, caleidoscopio di situazioni, calembour dialogico, cast importante, musica poetica, Wes Anderson inarrivabile nel mostrare, nell’alludere e nell’ammiccare.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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The French Dispatch

Se decidete di andare a vedere “The French Dispatch” è meglio che vi scordiate Maurizio Porro che come un disco rotto si ostina a non capire o a fingere di non capire che il cinema di Wes Anderson è “altro”. Qualcuno potrebbe anche affermare, a torto o a ragione, che non sia cinema e magari ha pure ragione, ma quello che è certo, è che non si può guardare questo film con il “Mereghetti” tra le mani (ma magari con il “Sadoul” sì), mentre si può guardarlo tranquillamente se si ama il “decor”, se si ama la “bande dessinée” (non per nulla è stato girato ad Angoulême capitale mondiale del fumetto), se si ama quel genere di cinema, che annovera tra le sue fila, gioielli come “Delicatessen”di Junette e Caro, “Il favoloso mondo di Amelie”, sempre di Junette ma anche film come “Ombre e Nebbie” di Woody Allen. È un cinema “pretestuoso” dove le storie, non sono importanti per ciò che raccontano, ma per come vengono raccontate.

Come è noto “The French Dispatch” (che chiaramente allude a “The New Yorker”), è il supplemento del “The Evening Sun” di Liberty in Kansas, fondato dal giornalista Arthur Howitzer, il cui figlio Arthur Howitzer Jr., dopo aver radunato i migliori giornalisti sulla piazza di Ennui-sur-Blasé (una città che assomiglia molto alla Parigi di “Appuntamento a Belleville” o di “Mon oncle d’Amerique”), li incarica di seguire una serie di vicende ed in particolare l’epopea di un artista galeotto e della sua modella-carceriera, una storia d’amore in una contestazione studentesca (molto, molto simile al Maggio francese) e il rapimento del figlio di un commissario di polizia.

Alla sua morte il direttore Arthur Howitzer Jr. disporrà che l’ultimo numero della rivista sia una antologia del meglio di quanto pubblicato dal giornale. Anche il film di Wes Anderson è un’antologia delle meraviglie, di tutte le trovate scenografiche, dei decori, della grafica, di un certo grafismo cinematografico, ma anche dei mirabolanti dialoghi, della inesauribile galleria di personaggi irreali, surreali e iper-reali. Grande film, straordinario catalogo di poesia visiva, caleidoscopio di situazioni, calembour dialogico, cast importante, musica poetica, Wes Anderson inarrivabile nel mostrare, nell’alludere e nell’ammiccare.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.