Pensare a Ken Loach guardando il magnifico film di Emmanuel Carrere (sì proprio lui), è fin troppo facile, direi scontato. Del resto, Loach, rimane il termine di paragone naturale per tutti quei registi che decidono di raccontare storie legate alla classe operaia e al proletariato urbano (perdonate i termini un po’ vetero-marxisti, ma al momento non me ne sovvengono altri più calzanti). Eppure in “Tra due mondi”, orrendo titolo italiano di “Le Quai de Ouistreham”, c’è anche qualcosa di più delle squallide storie di sfruttamento del lavoro, di ingiustizia sociale e di precarietà del grande regista britannico.

La vicenda racconta della scrittrice Marianne Winkler che, per immedesimarsi nella condizione di una addetta alle pulizie, si fa assumere dalla ditta che effettua le pulizie sui ferry-boat che collegano Francia e Gran Bretagna (il titolo originale allude appunto al molo della sponda francese a Caen). L’infiltrata, per così dire, stringe amicizie e relazioni coi colleghi e con una in particolare, Christèle, madre di tre bambini. Marianne tocca con mano la durezza del lavoro, i salari da fame, le difficoltà quotidiane, ma anche i forti legami e la solidarietà che si creano tra queste lavoratrici e lavoratori.

Non si tratta però della coscienza di classe che aleggia sempre nei film di Ken Loach, si tratta più che altro di partecipazione umana alla sofferenza altrui. Marianne, a causa di un contrattempo, viene scoperta nella sua vera identità, proprio da Christèle che le imputa di aver ingannato le compagne di lavoro e lei stessa. Christèle non può proprio perdonare una scelta di campo fittizia, fatta solo per poter avere materiali di prima mano per la stesura di un libro. Il metodo “Stalinslavskij” applicato alla scrittura, non è sufficiente per trasformare una scrittrice in una operaia, e se lo è per il materiale letterario, non lo può essere per condividere la condizione umana degli ultimi, tesi magari discutibile, ma certamente fondata.

Magnifica interpretazione di Juliette Binoche nella parte di Marianne, ambientazione opportunamente squallida, dialoghi credibili, un film per pensare.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Tra i due mondi

Pensare a Ken Loach guardando il magnifico film di Emmanuel Carrere (sì proprio lui), è fin troppo facile, direi scontato. Del resto, Loach, rimane il termine di paragone naturale per tutti quei registi che decidono di raccontare storie legate alla classe operaia e al proletariato urbano (perdonate i termini un po’ vetero-marxisti, ma al momento non me ne sovvengono altri più calzanti). Eppure in “Tra due mondi”, orrendo titolo italiano di “Le Quai de Ouistreham”, c’è anche qualcosa di più delle squallide storie di sfruttamento del lavoro, di ingiustizia sociale e di precarietà del grande regista britannico.

La vicenda racconta della scrittrice Marianne Winkler che, per immedesimarsi nella condizione di una addetta alle pulizie, si fa assumere dalla ditta che effettua le pulizie sui ferry-boat che collegano Francia e Gran Bretagna (il titolo originale allude appunto al molo della sponda francese a Caen). L’infiltrata, per così dire, stringe amicizie e relazioni coi colleghi e con una in particolare, Christèle, madre di tre bambini. Marianne tocca con mano la durezza del lavoro, i salari da fame, le difficoltà quotidiane, ma anche i forti legami e la solidarietà che si creano tra queste lavoratrici e lavoratori.

Non si tratta però della coscienza di classe che aleggia sempre nei film di Ken Loach, si tratta più che altro di partecipazione umana alla sofferenza altrui. Marianne, a causa di un contrattempo, viene scoperta nella sua vera identità, proprio da Christèle che le imputa di aver ingannato le compagne di lavoro e lei stessa. Christèle non può proprio perdonare una scelta di campo fittizia, fatta solo per poter avere materiali di prima mano per la stesura di un libro. Il metodo “Stalinslavskij” applicato alla scrittura, non è sufficiente per trasformare una scrittrice in una operaia, e se lo è per il materiale letterario, non lo può essere per condividere la condizione umana degli ultimi, tesi magari discutibile, ma certamente fondata.

Magnifica interpretazione di Juliette Binoche nella parte di Marianne, ambientazione opportunamente squallida, dialoghi credibili, un film per pensare.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.