Vita accidentale di un anarchico

Ho tra le mani un curioso libretto, edito da “Milieu Edizioni”, che potrebbe essere assimilabile ad un fotoromanzo, e qui, bisognerebbe già spiegare a tre quarti dei miei lettori che cos’è, o meglio, che cos’era, un fotoromanzo. Sto parlando di “Vita accidentale di un anarchico” dedicato a Giuseppe Pinelli, detto “Pino”. I non più giovani ricorderanno certamente, oltre la tragica morte di Pino Pineli, anche la piece teatrale di Dario Fo intitolata “Morte accidentale di un anarchico”,del 1970, a cui il titolo di questo libro ed il video ad esso correlato, fanno esplicito riferimento. In realtà il video è venuto prima del libro, ma quello che più conta è che leggere il libro o vedere il video è più o meno la stessa cosa, poiché contengono gli stessi materiali che sono una via di mezzo tra animazione e una storia fotografica. Ammetto che tra le due edizioni preferisco di gran lunga e, un po’ feticisticamente, questo libro, fatto con carta riciclata, con immagini in bianco/nero che ricorda le pubblicazioni degli anni Settanta, non solo libri, ma soprattutto dispense, ciclostilati, volantini, manifesti.

Libro e video ricostruiscono la vicenda di Pino Pinelli, del suo arresto dopo la strage fascista di Piazza Fontana e della sua morte, avvenuta nella questura di Milano, qualche giorno dopo la strage del 12 dicembre 1969. Sappiamo tutti, o dovremmo saperlo, che quella strage fu uno dei tasselli più importanti della cosiddetta “strategia della tensione”, orchestrata da una parte deviata dei servizi segreti e dai fascisti (una volta si chiamavano come si dovevano chiamare, “fascisti” appunto). Il punto di vista narrativo è quello delle figlie di Pino Pinelli, Claudia e Silvia, e il registro è il loro ricordo di bambine. È un libro semplice, semplicissimo e nello stesso tempo commovente. Purtroppo oggi il termine “anarchico” è legato al cliché del contestatore violento, del “casseur”, del “black-block”; nella realtà, come tanti anarchici, anche Pino Pinelli, era un non-violento, un sognatore, un idealista, un uomo mite che amava la politica militante.

Era l’essenza stessa dell’anarchismo solidale ed è questo profilo, occultato dalle cronache dell’epoca e disconosciuto per molti anni anche dalla stampa italiana, che riemerge dal racconto per immagini e parole di Claudia e Silvia Pinelli. Ed è proprio Claudia a raccontare che alla figlia Arianna, nipote di Pino, a scuola chiesero di parlare del nonno, ma una volta tornata a casa, la piccola Arianna disse alla mamma: “Scrivono tutti di come è morto, tu raccontamelo da vivo…” ed è proprio questo intimismo famigliare che fa di “Pino, vita accidentale di un anarchico”, un libro commovente e umanissimo, come era in fondo Giuseppe “Pino” Pinelli, “morto innocente nei locali della questura di Milano”, come ricorda la lapide di Piazza Fontana.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Vita accidentale di un anarchico

Ho tra le mani un curioso libretto, edito da “Milieu Edizioni”, che potrebbe essere assimilabile ad un fotoromanzo, e qui, bisognerebbe già spiegare a tre quarti dei miei lettori che cos’è, o meglio, che cos’era, un fotoromanzo. Sto parlando di “Vita accidentale di un anarchico” dedicato a Giuseppe Pinelli, detto “Pino”. I non più giovani ricorderanno certamente, oltre la tragica morte di Pino Pineli, anche la piece teatrale di Dario Fo intitolata “Morte accidentale di un anarchico”,del 1970, a cui il titolo di questo libro ed il video ad esso correlato, fanno esplicito riferimento. In realtà il video è venuto prima del libro, ma quello che più conta è che leggere il libro o vedere il video è più o meno la stessa cosa, poiché contengono gli stessi materiali che sono una via di mezzo tra animazione e una storia fotografica. Ammetto che tra le due edizioni preferisco di gran lunga e, un po’ feticisticamente, questo libro, fatto con carta riciclata, con immagini in bianco/nero che ricorda le pubblicazioni degli anni Settanta, non solo libri, ma soprattutto dispense, ciclostilati, volantini, manifesti.

Libro e video ricostruiscono la vicenda di Pino Pinelli, del suo arresto dopo la strage fascista di Piazza Fontana e della sua morte, avvenuta nella questura di Milano, qualche giorno dopo la strage del 12 dicembre 1969. Sappiamo tutti, o dovremmo saperlo, che quella strage fu uno dei tasselli più importanti della cosiddetta “strategia della tensione”, orchestrata da una parte deviata dei servizi segreti e dai fascisti (una volta si chiamavano come si dovevano chiamare, “fascisti” appunto). Il punto di vista narrativo è quello delle figlie di Pino Pinelli, Claudia e Silvia, e il registro è il loro ricordo di bambine. È un libro semplice, semplicissimo e nello stesso tempo commovente. Purtroppo oggi il termine “anarchico” è legato al cliché del contestatore violento, del “casseur”, del “black-block”; nella realtà, come tanti anarchici, anche Pino Pinelli, era un non-violento, un sognatore, un idealista, un uomo mite che amava la politica militante.

Era l’essenza stessa dell’anarchismo solidale ed è questo profilo, occultato dalle cronache dell’epoca e disconosciuto per molti anni anche dalla stampa italiana, che riemerge dal racconto per immagini e parole di Claudia e Silvia Pinelli. Ed è proprio Claudia a raccontare che alla figlia Arianna, nipote di Pino, a scuola chiesero di parlare del nonno, ma una volta tornata a casa, la piccola Arianna disse alla mamma: “Scrivono tutti di come è morto, tu raccontamelo da vivo…” ed è proprio questo intimismo famigliare che fa di “Pino, vita accidentale di un anarchico”, un libro commovente e umanissimo, come era in fondo Giuseppe “Pino” Pinelli, “morto innocente nei locali della questura di Milano”, come ricorda la lapide di Piazza Fontana.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.