Zerocalcare dopo il botto

Il paradosso di Zerocalcare sta, a mio parere, tutto nel fatto che è talmente bravo nello scrivere i testi e nell’affabulare la trasposizione in video dei suoi fumetti, da far sembrare i suoi disegni quasi un commento del testo e non viceversa, mentre invece il segno grafico è di prim’ordine. La mostra allestita a “La Fabbrica del Vapore” di Milano dal titolo significativo “Zerocalcare, dopo il botto” ( ed aperta fino al 23 aprile prossimo), con le sue oltre 500 tavole esposte e i numerosi video, manifesti, libri, locandine, fotografie, rende pienamente giustizia a questo artista a tuttotondo. Sebbene nella mostra sia presente un’ampia fetta della produzione di Zerocalcare, si può tranquillamente affermare che il focus di questa esposizione è certamente il racconto della frammentazione sociale all’indomani della pandemia.

Intorno a questo tema ruotano i numerosi video esposti e molte storie a fumetti. Al centro di tutte le storie c’è però lui, Zerocalcare, alias Michele Rech, inscindibile da una Roma periferica, non turistica, quasi pasoliniana dalla quale “Zero” assorbe gerghi, stili di vita, ma soprattutto angosce latenti, disillusioni, frustrazioni, dando l’immagine di una società, ormai frantumata e post-apocalittica, senza una precisa identità, per capirci meglio quella già raccontata nell’album “Macerie prime” del 2017 e ribadita nel 2018 in “Macerie prime sei mesi dopo”. La lingua scritto-parlata di Zerocalcare è assolutamente strabiliante, nel suo gergo da centro sociale e, allo stesso tempo, maniacalmente analitica, piena zeppa di rimandi all’attualità politica, alla contemporaneità e di una lucidità unica che sa piegare (e spiegare) il luogo comune alle esigenze e ai ritmi narrativi.

Il logo della immaginaria “Brigata Dizione Trascurata” e la sottostante didascalia “Biascichiamo e se magnnamo le parole”, ben riassume con arguzia e ironia, la parlata di Zero e dei suoi accoliti e idealmente ben rappresenta anche il segno grafico, essenziale, veloce, disincantato, più influenzato da graffitismo e street art che non dai grandi classici del fumetto o della Novel Graphic. Del resto “Strappare lungo i bordi”, la serie animata del 2021, aveva già ribadito, anche sullo schermo, la assoluta originalità del suo autore. Insieme alle centinaia di tavole, la mostra, ideata e curata da Silvia Barbagallo, propone grandi illustrazioni dove il segno grafico si trasforma in cifra stilistica, assolutamente degna di un grande artista, come si può riscontrare nei ritratti di John Strummer e Kurt Kobain. Di notevolissimo interesse tutto il materiale (tavole, bozzetti, story-board) su “Kobane Calling” del 2015, reportage in forma grafica di un viaggio tra Siria e Turchia verso la città di Kobanê, difesa dai Curdi e assediata dalle forze del cosiddetto Stato Islamico. Molto e variegato il materiale riguardante gli scontri del G8 di Genova del 2001, moltissime gli “affiches” delle lotte dei centri sociali romani e non solo.

Oltre allo strabordante materiale esposto, è certamente degno di nota l’allestimento “site specific” che accoglie il visitatore in una “Main Street” post-apocalittica, popolata da strani esseri urbani che mostrano tutti i prodromi di un “dopo-catastrofe”, ma che ancora non sono (e forse non saranno mai) una “umanità nova”… Mostra milanese da non perdere per nessun motivo, assolutamente da preferire al solito rito delle mostre di Palazzo Reale che, tranne qualche eccezione, sembra aver perso molto del suo smalto. Parere personale, naturalmente.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Zerocalcare dopo il botto

Il paradosso di Zerocalcare sta, a mio parere, tutto nel fatto che è talmente bravo nello scrivere i testi e nell’affabulare la trasposizione in video dei suoi fumetti, da far sembrare i suoi disegni quasi un commento del testo e non viceversa, mentre invece il segno grafico è di prim’ordine. La mostra allestita a “La Fabbrica del Vapore” di Milano dal titolo significativo “Zerocalcare, dopo il botto” ( ed aperta fino al 23 aprile prossimo), con le sue oltre 500 tavole esposte e i numerosi video, manifesti, libri, locandine, fotografie, rende pienamente giustizia a questo artista a tuttotondo. Sebbene nella mostra sia presente un’ampia fetta della produzione di Zerocalcare, si può tranquillamente affermare che il focus di questa esposizione è certamente il racconto della frammentazione sociale all’indomani della pandemia.

Intorno a questo tema ruotano i numerosi video esposti e molte storie a fumetti. Al centro di tutte le storie c’è però lui, Zerocalcare, alias Michele Rech, inscindibile da una Roma periferica, non turistica, quasi pasoliniana dalla quale “Zero” assorbe gerghi, stili di vita, ma soprattutto angosce latenti, disillusioni, frustrazioni, dando l’immagine di una società, ormai frantumata e post-apocalittica, senza una precisa identità, per capirci meglio quella già raccontata nell’album “Macerie prime” del 2017 e ribadita nel 2018 in “Macerie prime sei mesi dopo”. La lingua scritto-parlata di Zerocalcare è assolutamente strabiliante, nel suo gergo da centro sociale e, allo stesso tempo, maniacalmente analitica, piena zeppa di rimandi all’attualità politica, alla contemporaneità e di una lucidità unica che sa piegare (e spiegare) il luogo comune alle esigenze e ai ritmi narrativi.

Il logo della immaginaria “Brigata Dizione Trascurata” e la sottostante didascalia “Biascichiamo e se magnnamo le parole”, ben riassume con arguzia e ironia, la parlata di Zero e dei suoi accoliti e idealmente ben rappresenta anche il segno grafico, essenziale, veloce, disincantato, più influenzato da graffitismo e street art che non dai grandi classici del fumetto o della Novel Graphic. Del resto “Strappare lungo i bordi”, la serie animata del 2021, aveva già ribadito, anche sullo schermo, la assoluta originalità del suo autore. Insieme alle centinaia di tavole, la mostra, ideata e curata da Silvia Barbagallo, propone grandi illustrazioni dove il segno grafico si trasforma in cifra stilistica, assolutamente degna di un grande artista, come si può riscontrare nei ritratti di John Strummer e Kurt Kobain. Di notevolissimo interesse tutto il materiale (tavole, bozzetti, story-board) su “Kobane Calling” del 2015, reportage in forma grafica di un viaggio tra Siria e Turchia verso la città di Kobanê, difesa dai Curdi e assediata dalle forze del cosiddetto Stato Islamico. Molto e variegato il materiale riguardante gli scontri del G8 di Genova del 2001, moltissime gli “affiches” delle lotte dei centri sociali romani e non solo.

Oltre allo strabordante materiale esposto, è certamente degno di nota l’allestimento “site specific” che accoglie il visitatore in una “Main Street” post-apocalittica, popolata da strani esseri urbani che mostrano tutti i prodromi di un “dopo-catastrofe”, ma che ancora non sono (e forse non saranno mai) una “umanità nova”… Mostra milanese da non perdere per nessun motivo, assolutamente da preferire al solito rito delle mostre di Palazzo Reale che, tranne qualche eccezione, sembra aver perso molto del suo smalto. Parere personale, naturalmente.

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Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.