«Novara ospita un carcere, ma ho l’impressione che molti novaresi non se ne siano mai accorti. È quindi importante abbattere i muri del pregiudizio consentendo alle associazioni, ad esempio quelle di volontariato, di poter entrare». Don Dino Campiotti, garante comunale dei detenuti, ha lanciato un appello in occasione della presentazione del libro, lunedì 15 novembre al Circolo dei lettori, “Carcere – idee, proposte e riflessioni” di Samuele Ciambriello, dal 2017 garante dei detenuti della Regione Campania.
«Fino gli anni ‘60 le prigioni erano al castello, un luogo molto aperto – ha continuato don Campiotti -. Io ero studente di teologia e ricordo che la domenica passava il carrettino con la frutta per i detenuti. Poi negli anni ’70 il carcere è stato trasferito dove è ora e attualmente ospita circa 170 persone: un centinaio al giudiziario, una settantina nella sezione di massima sicurezza, il cosiddetto 41bis. Molte sono le attività che sono state avviate nel corso degli anni: una tipografia, un tentativo di sartoria, corsi scolastici di preparazione alla licenza di quinta elementare e terza media e Sant’Egidio dà un grande contributo. Il carcere di Novara non è molto grande rispetto ad altri, ma c’è vitalità grazie a personale attento e attivo che propone continuamente attività ricreativa».
Secondo don Dino, tre sono gli obiettivi da perseguire: «Reinserimento sociale delle persone che escono; lavoro vero e proprio anche all’interno: alcune cooperative hanno dato la possibilità di tentare concretamente, come Assa che da parecchio tempo dà un forte contributo, ma purtroppo non è sufficiente. Infine abbattere i muri del pregiudizio consentendo alle associazioni, ad esempio quelle di volontariato, di poter entrare perché ho la sensazione che molti novaresi nemmeno sappiano che nella loro città ci sia un carcere. È, dunque, importante parlare il più possibile di questo argomento per fare in modo che il carcere non venga più percepito come un’isola maledetta all’interno della città, ma un’area inclusa nella città stessa».
Don Campiotti ha poi portato l’esempio di una cooperativa nata tra carcerati provenienti dal mondo delle Brigate Rosse: «Sedici anni fa, una ventina di persone che si sono conosciute dietro le sbarre, hanno dato vita a Multidea, di cui io sono stato presidente, allo scopo di accrescere all’esterno la cultura del mondo carcerario e creare professionalità nei detenuti che uscivano per fine pena o buona condotta. Dopo una decina di anni, però, ci siamo accorti che si era generata una sorta di stanchezza e ogni persona rientrata a pieno titolo nel mondo esterno aveva voglia di mettersi in proprio. Così nel 2016 la cooperativa è stata sciolta perché, a parte due casi isolati, tutti gli altri erano pronti per una nuova libertà e oggi sono cittadini puliti e lavoratori con una nuova vita».
«La certezza della pena deve coincidere con la certezza della qualità della pena che passa dal diritto alla dignità, alla salute e all’affettività – ha dichiarato Ciambriello -. Nel corso degli anni, attraverso governi di ogni colore, sono state costruite carceri con celle senza doccia e senza bidet, addirittura senza acqua corrente. Situazioni come queste rappresentano il fallimento di tutti noi. Per non parlare poi della carenza di personale, psicologi, educatori: sono 24 anni che non viene indetto un concorso per direttori di carcere. Per fortuna ci sono realtà come la Chiesa, le associazioni di volontariato e gli entri che cercano di oltrepassare le mura dell’indifferenza. Dico sempre che “carcere” è l’anagramma di “cercare” ed è quello che dovremmo fare noi: cercare di far passare queste persone dalla reclusione all’inclusione».
Poi si è rivolto ai consiglieri regionali presenti (Federico Perugini e Domenico Rossi, rispettivamente vice presidente della Commissione permanente per la Promozione della cultura della legalità e contrasto ai fenomeni mafiosi e vice presidente della Commissione Sanità) chiedendo di «stabilizzare con un concorso gli operatori interni quali medici, infermieri, psicologi ed educatori per evitare situazioni di malasanità e il continuo ricambio all’interno del carcere».
A moderare l’incontro è stato Bruno Mellano, garante regionale dei detenuti, che ha ribadito come «ogni carcerato abbia il diritto soggettivo di intraprendere percorsi diversificati di uscita. Purtroppo la carenza personale oltre alle difficoltà legate Covid finiscono per condizionare situazioni che sono realizzabili ma rimangono sulla carta. Il 78% dei detenuti maschi è recidivo e questo non deve più succedere, è frustrante per gli operatori e uno spreco di risorse». Nel caso specifico di Novara «nemmeno c’è un direttore fisso, ma la disponibilità di tre giorni a settimana della direttrice di San Vittore. La palazzina dell’ex carcere femminile è abbandonata da almeno quindici anni e non ci sono progetti di recupero. Se si vuole cambiare rotta bisogna investire nel personale e nelle strutture».
Il consigliere Rossi ha ricordato che «fin dalla scorsa legislatura abbiamo sempre cercato di essere presenti, purtroppo però i mezzi in Piemonte sono scarsi e questo non aiuta: è necessario dare di più per aiutare l’opinione pubblica a interessarsi del problema. Così si rischia di mettere questo argomento da parte, invece dobbiamo tornare a interrogarci come collettività. Nel carcere di Novara c’è un’educatrice e mezza: come possono lavorare da sole in modo serio? Gli operatori devono poter svolgere la propria attività agevolmente e questo noi lo dobbiamo garantire come istituzione. Abbiamo il dovere di aspirare ad avere carceri migliori mettendo da parte la mentalità che è un problema solo di chi finisce dentro o è lì per lavoro».
Il consigliere Perugini ha invece affermato che «le carceri non dovrebbero essere svuotate per sovraffollamento, piuttosto non dovrebbero essere riempite grazie alla prevenzione. Quello è un luogo fatto non solo di detenuti, ma di persone che lavorano: il nostro compito è quello di intercettare i detenuti recuperabili attraverso percorsi che consentano il reinserimento nella società».