«Quando si arrabbiava si faceva restituire il bancomat e lo tagliava a pezzi con le forbici». Una convivenza, quella di una coppia di cinquantenni, durata un quarto di secolo, ma che negli ultimi anni era stata costellata da litigi e insulti, ai quali spesso assistevano anche i due figli. Poi un giorno di dicembre di quattro anni fa, al culmine dell’ennesima discussione lui aveva spinto la moglie contro un muro, aveva alzato una mano stretta a pugno e aveva mimato il gesto di colpirla. Lei era andata dai carabinieri, lo aveva denunciato e l’uomo è finito a processo con l’accusa di maltrattamenti in famiglia.
I due l’estate scorsa si sono separati «e adesso i nostri rapporti sono inesistenti, non ci parliamo proprio» ha detto la donna che ha manifestato l’intenzione di rimettere la querela, anche se il processo, visto il tipo di reato contestato, è proseguito d’ufficio.
«Litigavamo spesso, mi insultava pesantemente dicendo che ero una buona a nulla; era arrivato al punto di insinuare che avessi un amante…Picchiata no, solo in un paio di occasioni mi aveva strattonata, una volta mi ha spinto contro un mobile, un’altra contro il muro».
«Ho assistito qualche volta ai loro litigi – ha detto la figlia – Ma urlavano tutti e due e gli insulti erano reciproci». «Ancora adesso ho un ottimo rapporto con lei – ha aggiunto un altro testimone – Ma non mi ha mai detto nulla di maltrattamenti, di liti sì; qualche volta ho assistito anch’io ma erano normali litigi di coppia».
Lo stesso pubblico ha chiesto la riqualificazione del capo di imputazione da maltrattamenti in famiglia a percosse, chiedendo una condanna a 400 euro di multa.
«Insulti e offese reciproche; le liti tra moglie e marito – ha detto il difensore non possono avere rilevanza penale» ed ha concluso chiedendo l’assoluzione.
E il tribunale lo ha assolto “perché il fatto non sussiste”.