Ahmad Djalali, il ricercatore universitario iraniano che ha anche lavorato per l’università del Piemonte Orientale e che è stato arrestato nel 2016 dal suo Paese di origine con l’accusa di essere una spia, sarà giustiziato entro il 21 maggio. La notizia è stata diramata ieri dall’agenzia Isna.
Subito si è mossa la catena di solidarietà: martedì 10 maggio alle 17.30 di fronte al municipio la città di Novara scenderà di nuovo in piazza per lanciare l’ennesimo grido di aiuto per la liberazione dello studioso. Un appello a cui si sono uniti anche il Crimedim, il Centro di ricerca e formazione in medicina delle catastrofi, aiuti umanitari e salute globale dell’Upo di cui Djalali era ricercatore, e Amnesty International che ha comunicato attraverso i propri canali sociale: «Dobbiamo unirci con tutte le nostre forze e combattere affinché questo non avvenga. Nelle prossime ore faremo sapere come ci muoveremo e cosa fare».
Anche dall’università dicono che «apprendiamo che la sentenza di morte per il nostro ex ricercatore Ahmadreza Djalali potrebbe essere eseguita il 21 maggio. Sgomenti per il ritorno di questo incubo, rafforziamo tutte le iniziative, mai abbandonate, per chiedere con forza la liberazione di Ahmad. Il rettore Gian Carlo Avanzi sta risollecitando tutti i canali istituzionali per dare nuova linfa alla rete di solidarietà».
Ahmad è detenuto in carcere con l’accusa di spionaggio dal 25 aprile del 2016; nel 2017 è stato condannato a morte dopo essere stato accusato di avere fornito informazioni all’intelligence israeliana riguardante il programma nucleare iraniano. Più volte è stata annunciata al sua esecuzione e le notizie circa le sue condizioni di salute sono sempre state frammentarie.
L’ultima manifestazione di fronte al municipio si è svolta un anno fa quando anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si era mobilitato per la liberazionedi Ahmad a seguito di altre numerosi appelli lanciati dalle Nazioni Unite e da professori e ricercatori delle università di tutto il mondo.