Ahmad Djalali rischia l’impiccagione per rappresaglia

Il ricercatore universitario è in carcere dal 2016 e aveva lavorato all'Upo

Ahmad Djalali rischia l’impiccagione per rappresaglia. A farlo sapere è Amnesty International dopo che un tribunale svedese aveva confermato in appello la condanna all’ergastolo dell’ex dirigente delle prigioni Hamid Nouri per il ruolo avuto nel massacro delle carceri del 1988.

Il 20 dicembre, un giorno dopo la sentenza svedese, gli organi d’informazione statali iraniani hanno diffuso un video di propaganda contenente la “confessione” forzata di Djalali – il ricercatore universitario che aveva lavorato a Novara all’Università del Piemonte Orientale – nella quale egli dichiara di essere una spia israeliana. Djalali ha sempre negato queste accuse, sostenendo di essere stato costretto a “confessare” sotto tortura.

Secondo quanto riferito dai familiari di Djalali, il 22 dicembre un funzionario del potere giudiziario iraniano ha visitato il detenuto informandolo che il verdetto di colpevolezza e la condanna a morte erano stati “confermati” e che sarebbero stati “attuati presto”. Inoltre il funzionario ha affermato che la Svezia sta tenendo in carcere Hamid Nouri affinché l’Iran rimetta in libertà Djalali che invece è in carcere dal 2016, cioè da oltre due anni prima dell’arresto di Nouri. Queste dichiarazioni sono state riprese dagli organi d’informazione statali iraniani più volte negli ultimi giorni.

Djalali è stato condannato a morte nell’ottobre 2017 per il reato di “corruzione sulla terra”, al termine di un processo profondamente iniquo celebrato dalla sezione 15 del Tribunale rivoluzionario di Teheran.

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