Arpioni e storditori elettrici per la pesca illegale: patteggia la banda di Borgo Ticino

In base a quanto verificato dai carabinieri forestali, il gruppo operava in fiumi come il Ticino o in località spesso difficili da raggiungere e comunque protette dal punto di vista ambientale

Associazione per delinquere finalizzata al bracconaggio ittico, immissione in commercio di alimenti non genuini, frode alimentare, commercio di sostanze alimentari nocive, e uccisione di animali: sono queste, a vario titolo, le accuse per cui in tribunale hanno patteggiato la pena sei persone, per lo più di nazionalità romena, coinvolte a vario titolo nell’operazione conclusa nel maggio dello scorso anno dal nucleo Cites di Torino.

La pena più elevata, 2 anni di reclusione convertiti in lavori di pubblica utilità, per il trentenne C.C.S., di Borgo Ticino, ritenuto il promotore dell’organizzazione. Poi a scendere fino a 10 mesi di reclusione per i coimputati, residenti fra Borgo Ticino e Castelletto Ticino. Per un ottavo indagato è stato disposto il non luogo a procedere per non aver commesso il fatto.

Secondo l’accusa, il gruppo, utilizzando materiali e attrezzature vietate dalla legge, come elettrostorditori, reti e arpioni, riusciva a catturare ingenti quantità di pesci, in particolare carpe e siluri, che poi venivano ammassati in una cascina di Borgo Ticino, centro operativo della banda, per essere lavorate e poi trasportate in Romania, per la successiva vendita a ditte specializzate. L’indagine era partita nel 2021 a grazie alla segnalazione di alcuni pescatori e volontari, venuti a conoscenza del fenomeno della pesca di frodo lungo corsi d’acqua di Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna.

In base a quanto verificato dai carabinieri forestali, grazie a pedinamenti e appostamenti, il gruppo operava in fiumi come il Ticino o in località spesso difficili da raggiungere e comunque protette dal punto di vista ambientale come la Torbiera del Sebino sul lago d’Iseo. Il pescato veniva poi mandato all’estero come prodotto finito da smerciare nei negozi, e il furgone per il trasporto in Romania viaggiava con documentazione riportante dati falsi. Purtroppo, però, il pesce non era sottoposto ad alcun controllo sanitario, oltre ad essere conservato in pessime condizioni igieniche.

Ogni battuta di pesca permetteva di recuperare circa 200 chili di pesce, rendendo così l’attività particolarmente remunerativa; attraverso l’analisi dei conti bancari degli indagati e della documentazione sequestrata i carabinieri avevano inoltre accertato il riutilizzo di molti dei proventi derivanti dal bracconaggio in attività edilizie riferibili agli indagati. Erano stati loro sequestrati conti correnti, immobili e auto per un valore complessivo di 218 mila euro.

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