«Ascoltare certe notizie mi fanno male, come se le parole di Carolina non fossero servite»

«Cosa penso? Che mi fanno male. Sono trascorsi  otto anni dalla morte della mia Carolina, le sue parole devono essere testimonianza, ma quando si verificano episodi del genere è come se le sue stesse parole non fossero servite. Lo ha detto lei, “Le parole fanno più male delle botte”. La morte di mia figlia è stata una tragedia per me, ma spero creino consapevolezza nei ragazzi e nei genitori».

Paolo Picchio, papà di Carolina, prima vittima riconosciuta di cyberbullismo, riflette sugli ultimi episodi di cronaca che raccontano vicende che un legame con la sua Carolina lo hanno: la bimba di 10 anni morta a Palermo per una sfida di TikTok, l’influencer che sullo stesso social network propone challenge estreme. «Bambini e adolescenti cadono nella trappola del web. La strada da percorrere è molto lunga ancora – dice Picchio – il nostro impegno tramite la Fondazione Carolina è a 360 gradi, rivolto ai ragazzi, alle famiglie, ai docenti, a chi educa i giovani, ma quando accadono episodi simili ci si rende conto di quanto la nostra società non sia ancora in grado di affrontare certe situazioni in modo concreto. E’ un “problema” culturale, ecco perché serve formazione. La penetrazione che il web ha sulle persone è incredibile, un insulto sul web oltre a rimanere scritto, viene percepito dalla persona che lo riceve. La mia Carolina era vincente, non era il tipo di vittima, ma è successo… ecco perché perché occorre attenzione».

La Fondazione Carolina, nata per essere uno strumento importante per la comunità, ha svolto un’indagine con con Pepita Onlus: circa 9 giovani su 10 su TikTok sono raggiunti da contenuti violenti o sessualmente espliciti. I risultati più specifici dell’indagine saranno diffusi nell’ambito delle iniziative legate alla Giornata internazionale per la Sicurezza in Internet, prevista per il prossimo 9 febbraio, ma si può anticipare che si tratta di un grido d’allarme: «Grazie alla nostra rete di educatori abbiamo coinvolto circa un migliaio di giovani, tra gli 11 e i 25 anni – spiega Ivano Zoppi, segretario generale della Fondazione – e più dell’80% degli interpellati ha confermato la presenza di contenuti violenti su TikTok. Una percentuale che sale al 90% se consideriamo immagini e video sessualmente espliciti. In Italia non si possono somministrare alcolici agli under 16, o vendere sigarette ai minorenni – osserva Zoppi – mentre una bambina siciliana di 10 anni e un bambino napoletano di 11 possono iscriversi a un social nonostante la normativa Ue non lo consenta fino ai 16 anni. Una violazione evidente, anche considerando la scelta dell’Italia di recepire la direttiva abbassando l’età minima a 14 anni. Garantire il rispetto di questo limite rappresenta una delle sfide dei prossimi anni».

 

 

Fondamentale secondo Zoppi è la continuità educativa: «Non si accendano i riflettori solo quando si verificano tragedie – prosegue – tutto ciò che accade in rete ha conseguenze sulla vita reale. Quando accadono queste tragedie ripenso alla storia di Caro. I social, il web possono avere la loro responsabilità, ma sono strumenti e bisogna imparare a usarli, dobbiamo far sì che i giovani vivano esperienze felici nella navigazione».

Zoppi lancia una provocazione alle famiglie, una provocazione che fa riflettere: «Un genitore lascerebbe mai il figlio da solo otto ore in un parco giochi? Non credo e allora mi chiedo: perché lasciarlo da solo davanti a uno schermo? Le lucine, le belle immagini di uno schermo possono creare molti più pericolo, è un paro giochi dove serve stare molto più attenti. Gli adulti siano accanto ai figli».

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«Ascoltare certe notizie mi fanno male, come se le parole di Carolina non fossero servite»

«Cosa penso? Che mi fanno male. Sono trascorsi  otto anni dalla morte della mia Carolina, le sue parole devono essere testimonianza, ma quando si verificano episodi del genere è come se le sue stesse parole non fossero servite. Lo ha detto lei, “Le parole fanno più male delle botte”. La morte di mia figlia è stata una tragedia per me, ma spero creino consapevolezza nei ragazzi e nei genitori».

Paolo Picchio, papà di Carolina, prima vittima riconosciuta di cyberbullismo, riflette sugli ultimi episodi di cronaca che raccontano vicende che un legame con la sua Carolina lo hanno: la bimba di 10 anni morta a Palermo per una sfida di TikTok, l’influencer che sullo stesso social network propone challenge estreme. «Bambini e adolescenti cadono nella trappola del web. La strada da percorrere è molto lunga ancora – dice Picchio – il nostro impegno tramite la Fondazione Carolina è a 360 gradi, rivolto ai ragazzi, alle famiglie, ai docenti, a chi educa i giovani, ma quando accadono episodi simili ci si rende conto di quanto la nostra società non sia ancora in grado di affrontare certe situazioni in modo concreto. E’ un “problema” culturale, ecco perché serve formazione. La penetrazione che il web ha sulle persone è incredibile, un insulto sul web oltre a rimanere scritto, viene percepito dalla persona che lo riceve. La mia Carolina era vincente, non era il tipo di vittima, ma è successo… ecco perché perché occorre attenzione».

La Fondazione Carolina, nata per essere uno strumento importante per la comunità, ha svolto un’indagine con con Pepita Onlus: circa 9 giovani su 10 su TikTok sono raggiunti da contenuti violenti o sessualmente espliciti. I risultati più specifici dell’indagine saranno diffusi nell’ambito delle iniziative legate alla Giornata internazionale per la Sicurezza in Internet, prevista per il prossimo 9 febbraio, ma si può anticipare che si tratta di un grido d’allarme: «Grazie alla nostra rete di educatori abbiamo coinvolto circa un migliaio di giovani, tra gli 11 e i 25 anni – spiega Ivano Zoppi, segretario generale della Fondazione – e più dell’80% degli interpellati ha confermato la presenza di contenuti violenti su TikTok. Una percentuale che sale al 90% se consideriamo immagini e video sessualmente espliciti. In Italia non si possono somministrare alcolici agli under 16, o vendere sigarette ai minorenni – osserva Zoppi – mentre una bambina siciliana di 10 anni e un bambino napoletano di 11 possono iscriversi a un social nonostante la normativa Ue non lo consenta fino ai 16 anni. Una violazione evidente, anche considerando la scelta dell’Italia di recepire la direttiva abbassando l’età minima a 14 anni. Garantire il rispetto di questo limite rappresenta una delle sfide dei prossimi anni».

 

 

Fondamentale secondo Zoppi è la continuità educativa: «Non si accendano i riflettori solo quando si verificano tragedie – prosegue – tutto ciò che accade in rete ha conseguenze sulla vita reale. Quando accadono queste tragedie ripenso alla storia di Caro. I social, il web possono avere la loro responsabilità, ma sono strumenti e bisogna imparare a usarli, dobbiamo far sì che i giovani vivano esperienze felici nella navigazione».

Zoppi lancia una provocazione alle famiglie, una provocazione che fa riflettere: «Un genitore lascerebbe mai il figlio da solo otto ore in un parco giochi? Non credo e allora mi chiedo: perché lasciarlo da solo davanti a uno schermo? Le lucine, le belle immagini di uno schermo possono creare molti più pericolo, è un paro giochi dove serve stare molto più attenti. Gli adulti siano accanto ai figli».

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