Canelli: «Ci unisce la nostra Costituzione che è antifascista». A Novara le celebrazioni per il 25 Aprile

Le celebrazioni del 79° anniversario della Liberazione, tra il Monumento ai Caduti di viale IV Novembre e il cortile del Broletto, dove una stele ricorda i partigiani novaresi

«In tutti questi anni si sono sviluppati sufficienti anticorpi affinché il fascismo non possa ritornare. Il primo è rappresentato dalla nostra Costituzione, che è nata e rimane fortemente antifascista. Il secondo nel bilanciamento delle istituzioni dello Stato, con l’equilibrio dei poteri, costruito attraverso anni di associazionismo sindacale e non, che consente a tante persone di poter esprimere il proprio pensiero». Con un discorso appassionato, a tratti impetuoso, il sindaco di Novara Alessandro Canelli ha introdotto la seconda parte della cerimonia che si è svolta questa mattina, 25 aprile, al Broletto per il 79° anniversario della Liberazione.

Nel suo intervento Canelli ha anche voluto ricordare come il 25 aprile 1945 ha rappresentato per l’Italia la fine «di un periodo drammatico sfociato in una guerra grazie al sacrificio di donne e uomini uniti da un unico grande sentimento di libertà e di giustizia. Un periodo iniziato oltre vent’anni prima con l’avvento del fascismo in Italia e l’annullamento con l’uso della forza e della violenza di quelle libertà individuali e collettive che oggi noi conosciamo».

«Ci sono altre libertà, altri diritti presenti nella nostra carta costituzionale che a mio avviso sono fortemente minacciati» ha continuato il sindaco che da questo punto di vista il primo cittadino ha citato ostacoli «di ordine economico e sociale. Alcuni diritti non sono ancora stati raggiunti. Come posso considerarmi veramente libero se svolgo un lavoro che non mi consente di arrivare alla fine del mese e garantire un futuro alla mia famiglia? Queste sono le libertà più minacciate, ostacoli ai quali dobbiamo porre grandissima attenzione e indignarci se esistono ancora».

L’orazione ufficiale è stata affidata quest’anno a Carlo Greppi del Comitato scientifico dell’Istituto storico della Resistenza. Il ricercatore ha inizialmente incentrato il suo intervento sulle figure di diversi stranieri che presero parte attiva alla nostra Resistenza. Citando l’esempio di Fritz Piegler, un artigliere austriaco arruolato nelle forze armate tedesche, che disertò nel febbraio del 1944 per risalire la Penisola e unirsi ai partigiani per, parole sue, «servire la causa». Una vicenda che fu raccontata in una intervista rilasciata dallo stesso Piegler allo storico novarese Cesare Bermani. Il “partigiano austriaco”, a differenza di tanti suoi compagni, scampò miracolosamente alla fucilazione. Per Greppi «è stata questa la violenza nazifascista riservata a chi aveva osato ribellarsi al suo progetto di dominio. Lo sappiamo dove ci porta il fascismo – ha proseguito – in ogni luogo e in ogni tempo. E per questo ricordiamo chi ebbe la forza di opporsi. Per questo la vicenda come quella del soldato austriaco brilla di una luce particolare, perché gli esseri umani lo sono in ogni luogo e tempo; e per le loro azioni vanno giudicati. Gli italiani che scelsero la repubblica sociale vanno condannati senza tentennamenti».

Citando altri numerosi esempi che stanno emergendo dagli archivi in questi anni si può intuire come l’idea di Europa fosse già immaginata allora, con la partecipazione alla Resistenza di “stranieri” ovunque. E Greppi ha ricordato come nell’estate del 1941, quando Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel confino di Ventotene terminarono di scrivere il loro manifesto per un continente libero l’Europa fosse ancora «“nera”, saldamente in mano ai fascismi. Un dato storico dal quale dobbiamo partire per capire quanto fu visionaria l’opera di progettazione di quello che poi sorse. Grazie al sacrificio di tanti che combatterono dove si trovavano, rimescolando le carte del loro senso di appartenenza».

La cerimonia si è poi conclusa con “Bella Ciao” e l’inno nazionale, eseguito da un gruppo di bambini del Coro Lis (il linguaggio dei segni) diretto da Stefania Natalicchio e accompagnato dalla banda di Confienza.

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Canelli: «Ci unisce la nostra Costituzione che è antifascista». A Novara le celebrazioni per il 25 Aprile

Le celebrazioni del 79° anniversario della Liberazione, tra il Monumento ai Caduti di viale IV Novembre e il cortile del Broletto, dove una stele ricorda i partigiani novaresi

«In tutti questi anni si sono sviluppati sufficienti anticorpi affinché il fascismo non possa ritornare. Il primo è rappresentato dalla nostra Costituzione, che è nata e rimane fortemente antifascista. Il secondo nel bilanciamento delle istituzioni dello Stato, con l’equilibrio dei poteri, costruito attraverso anni di associazionismo sindacale e non, che consente a tante persone di poter esprimere il proprio pensiero». Con un discorso appassionato, a tratti impetuoso, il sindaco di Novara Alessandro Canelli ha introdotto la seconda parte della cerimonia che si è svolta questa mattina, 25 aprile, al Broletto per il 79° anniversario della Liberazione.

Nel suo intervento Canelli ha anche voluto ricordare come il 25 aprile 1945 ha rappresentato per l’Italia la fine «di un periodo drammatico sfociato in una guerra grazie al sacrificio di donne e uomini uniti da un unico grande sentimento di libertà e di giustizia. Un periodo iniziato oltre vent’anni prima con l’avvento del fascismo in Italia e l’annullamento con l’uso della forza e della violenza di quelle libertà individuali e collettive che oggi noi conosciamo».

«Ci sono altre libertà, altri diritti presenti nella nostra carta costituzionale che a mio avviso sono fortemente minacciati» ha continuato il sindaco che da questo punto di vista il primo cittadino ha citato ostacoli «di ordine economico e sociale. Alcuni diritti non sono ancora stati raggiunti. Come posso considerarmi veramente libero se svolgo un lavoro che non mi consente di arrivare alla fine del mese e garantire un futuro alla mia famiglia? Queste sono le libertà più minacciate, ostacoli ai quali dobbiamo porre grandissima attenzione e indignarci se esistono ancora».

L’orazione ufficiale è stata affidata quest’anno a Carlo Greppi del Comitato scientifico dell’Istituto storico della Resistenza. Il ricercatore ha inizialmente incentrato il suo intervento sulle figure di diversi stranieri che presero parte attiva alla nostra Resistenza. Citando l’esempio di Fritz Piegler, un artigliere austriaco arruolato nelle forze armate tedesche, che disertò nel febbraio del 1944 per risalire la Penisola e unirsi ai partigiani per, parole sue, «servire la causa». Una vicenda che fu raccontata in una intervista rilasciata dallo stesso Piegler allo storico novarese Cesare Bermani. Il “partigiano austriaco”, a differenza di tanti suoi compagni, scampò miracolosamente alla fucilazione. Per Greppi «è stata questa la violenza nazifascista riservata a chi aveva osato ribellarsi al suo progetto di dominio. Lo sappiamo dove ci porta il fascismo – ha proseguito – in ogni luogo e in ogni tempo. E per questo ricordiamo chi ebbe la forza di opporsi. Per questo la vicenda come quella del soldato austriaco brilla di una luce particolare, perché gli esseri umani lo sono in ogni luogo e tempo; e per le loro azioni vanno giudicati. Gli italiani che scelsero la repubblica sociale vanno condannati senza tentennamenti».

Citando altri numerosi esempi che stanno emergendo dagli archivi in questi anni si può intuire come l’idea di Europa fosse già immaginata allora, con la partecipazione alla Resistenza di “stranieri” ovunque. E Greppi ha ricordato come nell’estate del 1941, quando Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel confino di Ventotene terminarono di scrivere il loro manifesto per un continente libero l’Europa fosse ancora «“nera”, saldamente in mano ai fascismi. Un dato storico dal quale dobbiamo partire per capire quanto fu visionaria l’opera di progettazione di quello che poi sorse. Grazie al sacrificio di tanti che combatterono dove si trovavano, rimescolando le carte del loro senso di appartenenza».

La cerimonia si è poi conclusa con “Bella Ciao” e l’inno nazionale, eseguito da un gruppo di bambini del Coro Lis (il linguaggio dei segni) diretto da Stefania Natalicchio e accompagnato dalla banda di Confienza.

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