Da quasi vent’anni la città di Novara attende la realizzazione del nuovo ospedale, ma ora è finalmente giunto il momento propizio. Era, infatti, il 2001 quando Aress (Agenzia Strategica Regionale per la Salute e il Sociale) ha ricevuto dall’azienda ospedaliera l’incarico di definire una proposta concreta. Da allora le procedure si sono incagliate più volte tra leggi, sottoscrizioni di finanziamenti, progetti di fattibilità e da ultimo, nel mese di maggio del 2019, è arrivato anche il parere sfavorevole del ministero della Salute sulla scelta del partenariato pubblico privato. Poi la legge dell’11 febbraio 2020 con cui la Regione si è fatta garante del finanziamento statale all’azienda ospedaliera e, infine, il decreto di ammissione dello scorso 12 maggio al contributo che ha permesso il via libera al bando per l’assegnazione dei lavori.
Tra i protagonisti delle vicende legate alla Città della Salute e della Scienza di Novara c’è anche l’ex governatore del Piemonte Sergio Chiamparino che, nel 2015, a un anno dall’elezione, aveva dato una prima svolta al procedimento con il finanziamento dell’opera di oltre 6 milioni di euro da parte della Regione e la sottoscrizione, nel 2016, dell’accordo di programma tra Regione, Comune, azienda ospedaliera e Università del Piemonte Orientale.
Alla vigilia della pubblicazione del bando (il direttore generale dell’ospedale Maggiore, Mario Minola, aveva parlato proprio del mese di giugno) La Voce ha fatto il punto con l’ex presidente sulla collocazione che il nuovo polo di salute e ricerca avrà nei contesti piemontese ed extra regionale.
Il 28 febbraio dello scorso anno in qualità di governatore ha partecipato a un incontro con gli investitori al Teatro Coccia proprio sul tema della Città della Salute e nel suo discorso ha dichiarato che “Novara è ancora troppo spesso vista come una sorta di casamatta di frontiera”. A più di un anno di distanza questa visione è rimasta inalterata oppure possiamo cominciare a pensare a Novara come terra baricentrica più che di frontiera?
Intanto bisogna considerare che nell’ultimo anno si è riusciti a superare qualche incertezza dell’amministrazione regionale, anche attraverso un’azione di ampiezza e trasversalità politica portata avanti dal consigliere novarese Domenico Rossi. Grandi passi avanti da un punto di vista strategico non mi pare si possano fare; decisivo, invece, il passaggio verso la concretezza del progetto. Sul ruolo di Novara come punto baricentro tra Milano e Torino, abbiamo finalmente completato un processo che per qualche mese ha rischiato di barcollare.
A cosa si riferisce?
Se non fossero state compiute azioni decisive come l’approvazione della legge attraverso la quale la Regione si è fatta garante del finanziamento, è evidente che il nuovo ospedale di Novara sarebbe rimasto un progetto mai realizzato come tanti altri. Ricordo, infatti, le forti resistenze da parte dell’allora ministra alla Salute, Giulia Grillo, sulla scelta del partenariato pubblico privato. L’ostacolo, però, è stato superato. Purtroppo, nel corso degli anni, si sono verificate una serie di questioni, come la mancanza di risorse nazionali che ha obbligato a cercare percorsi alternativi, che accomunano il progetto dell’ospedale di Novara a quello di Torino e di Verduno.
Si possono, dunque, tracciare linee comuni tra questi tre nuovi ospedali?
Sì, ma con storie molto diverse. A Torino il progetto è nato intorno al 2003 quando ero sindaco: un’idea che era partita dal post olimpico del Lingotto e che poi si è bloccata a causa di valutazioni diverse da parte di università e Regione; visioni differenti che hanno rallentano il tutto fino a portare all’impaludamento. Nel 2014 abbiamo rimesso insieme il programma originario adattandolo agli spazi che erano rimasti, valutando che erano sufficienti per la realizzazione del nuovo ospedale. La vicenda di Verduno (reso attivo durante la pandemia come ospedale covid) si era, invece, arenata sulla scelta del terreno con conseguenti problemi di costruzione e infine di difficoltà economiche. La storia di Novara nasce nel 2001 e, da allora fino a quando sono diventato presidente nel 2014, il problema principale è stato rappresentato dal reperimento delle risorse. Il nostro lavoro è stato quello di sbloccarle, circa 100 milioni statali così come sono stati circa 300 per Torino, e di costruire un progetto con una parte di investimenti privati: una strada complessa ma che era anche l’unica praticabile.
Con la nuova Città della Salute, Novara avrà davvero le potenzialità per diventare un punto strategico e di integrazione tra salute e ricerca?
Già in questo momento il Maggiore, insieme a Torino, è uno dei punti di riferimento e di eccellenza per le grandi complessità cliniche. Immagino che con gli investimenti orientati all’innovazione tecnologica e alla riqualificazione delle strutture, si terrà conto anche delle esigenze di flessibilità dettate da questa pandemia. Il ministro Speranza starebbe per varare un nuovo piano per il potenziamento delle reti ospedaliere: tutto questo renderà ancora più forte il ruolo dell’ospedale novarese a livello regionale. La visione strategica di Novara come città baricentrica diventa, dunque, centrale se si pensa che l’ospedale Maggiore è secondo solo a Torino e lo Human Technopole di Rho è a pochi chilometri da Novara: questa è la condizione per attirare gli occhi del mondo su un distretto che può avere tante potenzialità. Si vede anche in questa vicenda del covid in cui le scienze della vita diventano fondamentali e Novara ha tutte le carte in regola per giocare questa partita.
In un’intervista rilasciata a La Voce in occasione della riapertura del 4 maggio, il sindaco di Novara, Alessandro Canelli, ha dichiarato: “È emersa in tutta la sua evidenza la debolezza del sistema sanitario territoriale che non è ascrivibile a qualcuno se non a una serie di politiche che negli anni hanno considerato più importante il potenziamento delle reti ospedaliere indebolendo quella territoriale”. È d’accordo con questa affermazione?
In generale sì, tanto che la nostra amministrazione aveva puntato a potenziare i due elementi, consapevole del fatto che i problemi erano rappresentati da ospedali vecchi sia dal punto di vista strutturale che organizzativo, oltre a una rete territoriale debole. Noi abbiamo trasformato alcune strutture ospedaliere del territorio in case della salute, approvando in consiglio delibere sulla cronicità e sulla prevenzione. Il disegno non può che continuare a essere questo: ospedali nuovi con caratteristiche innovative, personale qualificato e adeguato nei numeri e una rete territoriale che funzioni. Basta guardare i dati: quando noi siamo arrivati in Regione erano presenti una quindicina di case della salute funzionanti; ora c’è una rete che si avvicina alle 50/60: è evidente che debba essere ancora implementata insieme ad altre strutture che vanno riconvertite o costruite. Bisogna prendere spunto da questa emergenza in cui possono anche essere stati commessi degli errori, ma è proprio in queste situazioni che si manifestano i problemi veri e che non devono diventare argomento per fare da scarica barile, ma oggetto di riflessione.
Qualche giorno fa il deputato novarese di Forza Italia, Diego Sozzani, ha dichiarato che “per realizzare in fretta il nuovo ospedale di Novara serve un commissario straordinario” suggerendo alla Regione di farsi carico della questione e che il sindaco di Novara potrebbe essere la figura più indicata per questo ruolo. È d’accordo o pensa che questa figura debba essere individuata esternamente alla città?
A dire la verità non sono nemmeno sicuro che questa figura sia necessaria. Immagino che dietro questa richiesta ci sia la logica del ponte Morandi, ma quella è una situazione che ha avuto una sua oggettiva eccezionalità che non credo si possa replicare per tutte le opere: non vorrei che, a lungo andare, prevalessero degli stereotipi. Non credo che si possa procedere per tutte le grandi opere con gli stessi criteri del ponte Morandi, si rischia di aggirare il nodo vero che è quello di semplificare le procedure. Così come ho sempre avuto un rapporto positivo con il precedente sindaco, Andrea Ballarè, ho sempre avuto stima per Alessandro: abbiamo collaborato, credo anche con qualche risultato buono, dunque non è un giudizio sulla persona, ma un invito a valutare la logica dei commissari; diversamente si rischia di trovare sempre una parola chiave, come spesso si fa in Italia, e perdere di vista il problema.
In conclusione, vedrà prima la luce il nuovo ospedale di Novara o quello di Torino?
A Torino la gara d’appalto e le bonifiche sono iniziate nel 2019, poi la gara è stata sospesa a causa dell’emergenza sanitaria. A questo punto credo che le due procedure andranno di pari passo.
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