Don Renato Sacco: «Esiste un’altra via oltre a quella delle armi»

Il coordinatore di Paxchristi è intervenuto nel tardo pomeriggio di sabato alla manifestazione promossa da Cgil, Anpi ed Emergency contro il conflitto in Ucraina: «La guerra ha dimostrato ancora di essere solo un affare. Non possiamo accettare che si metta una bandiera su un mucchio di macerie»

Ventiquattro ore dopo, qualcosa in più, ma stessa location. Piazza Duomo a Novara, nel tardo pomeriggio di sabato 25 febbraio, ha ospitato la manifestazione contro la guerra in Ucraina promossa da Cgil, Anpi, Emergency e altre sigle che fanno riferimento al coordinamento per la pace. Non è venuta meno la vicinanza al popolo ucraino, è stato ribadito in più di un’occasione, ma per gli organizzatori la via da percorrere deve essere politica e diplomatica, non militare.


Introdotti dal segretario provinciale della Cgil Attilio Fasulo e dalla presidente provinciale dell’Anpi Michela Cella, sono intervenuti a nome di Emergency Silvia Zani e il coordinatore nazionale di Paxchristi don Renato Sacco. A fare da sottofondo, oltre a decine di bandiere arcobaleno e candele portate dai partecipanti che hanno reso l’atmosfera sempre più suggestiva, le canzoni proposte da Andrea Fabiamo e un’opera realizzata dall’artista Federico Vullo raffigurante il volto di una bambina siriana.


«Siamo qui per chiedere che la guerra cessi – ha detto Zani – e si giunga a una conferenza di pace. Dopo tante parole è trascorso un anno, la guerra non è terminata ma non si è visto un concreto impegno a favore della pace; anzi, il rischio di un escalation del conflitto appare sempre più reale e non ci si rende conto che una guerra non lascia mai vincitori ma solo vittime».


Poi l’atteso intervento di don Renato Sacco, che ha esordito citando tre ragazze, la russa Daria, la bielorussa Olga e l’ucraina Katia, tutte rifugiate in Italia e divenute nel frattempo amiche: «Sono state invitate dal Movimento non violento – ha detto – perché rappresentano, ciascuna nel suo Paese, i movimenti per la pace, la non violenza e l’obiezione di coscienza. Se la vita è faticosa per tutti, lo è ancora di più per chi è contro la guerra, perché sei considerato (nelle due Nazioni in conflitto soprattutto, ndr) un “traditore della patria” se non addirittura una “terrorista”, come nel caso di Olga, che per il regime di Minsk potrebbe rischiare addirittura la pena capitale». Analoga la situazione in Russia, dove il dissenso alla politica di Putin è comunque presente, «ma basta pronunciare la parola “guerra” per finire dietro le sbarre». Poi una sorta di atto d’accusa rivolto a tutti gli altri Paesi, inclusa l’Italia: «A quelli che dicono che l’unico modo per aiutare l’Ucraina sia inviare armi queste tre ragazze rispondono che nessuna di loro vuole la guerra e che esiste un’altra scelta oltre a quella delle armi».


«Siamo a un anno dall’inizio di questa guerra, esiste un invasore e un invaso, nessuno lo nega. Dobbiamo però dire che questa guerra non è iniziata il 24 febbraio 2022, ma molto prima, ma a noi non interessava. Come non interessano tante altre guerre che si stanno combattendo nel mondo. In questi ultimi mesi siamo travolti dalla retorica di tutti, dove ci viene detto che l’unico modo sia quello di spendere di più in armi, come l’Italia, che ne ha già inviate in Ucraina per un valore di 800 milioni di euro. Noi siamo qui a dire che il vero problema è la guerra, che deve essere ripudiata. Non si tratta di una guerra sbagliata perché la fa Putin, ma perché è sbagliata in sé. Cosa proporre allora? La risposta nella politica, ma non l’abbiamo, ma solo tanti sorrisi da parte dei potenti». E ancora: «Non dobbiamo rassegnarci ad accettare tutto questo, perché la guerra uccide, ma prima ancora divide. E non accettiamo chi dice “se non sei così sei filo putiniano”. Questo è volere la guerra e non la pace. Ma lo stesso Putin sino a qualche anno fa non era considerato un amico? Il nostro Governo ha venduto alla Russia armi sino al 2015, ma allora si tratta di un affere, perché la guerra è un grosso affare. Non dobbiamo alzare forte questo grido di indignazione e lo dobbiamo chiedere anche alla politica».


Per don Renato «si spende sempre più per le armi e la guerra attuale è la giustificazione perfetta per portare le spese militari al 2% del Pil, 104 milioni di euro al giorno. Non possiamo accettare questa cosa. Quando si dimentica cosa è la guerra si pensa che sia la soluzione». Infine una riflessione locale: «Ci troviamo a Novara e non possiamo ricordare che a Cameri si producono gli F-35. Forse ci siamo un po’ distratti, forse abbiamo pensato che creano posti di lavoro. Ma questi aerei non servono a spegnere gli incendi ma sono dei caccia bombardieri adattati per il trasporto di ordigni nucleari che ospitiamo a Ghedi e ad Aviano. Oggi il rischio nucleare è sul tavolo e non lo possiamo accettare. E allora la politica batta un colpo. Come ha detto lo stesso capo di Stato maggiore italiano “questa guerra non potrà avere una soluzione militare”. Diamo retta a chi se ne intende. Non possiamo accettare che si metta una bandiera su un mucchio di macerie».

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Don Renato Sacco: «Esiste un’altra via oltre a quella delle armi»

Il coordinatore di Paxchristi è intervenuto nel tardo pomeriggio di sabato alla manifestazione promossa da Cgil, Anpi ed Emergency contro il conflitto in Ucraina: «La guerra ha dimostrato ancora di essere solo un affare. Non possiamo accettare che si metta una bandiera su un mucchio di macerie»

Ventiquattro ore dopo, qualcosa in più, ma stessa location. Piazza Duomo a Novara, nel tardo pomeriggio di sabato 25 febbraio, ha ospitato la manifestazione contro la guerra in Ucraina promossa da Cgil, Anpi, Emergency e altre sigle che fanno riferimento al coordinamento per la pace. Non è venuta meno la vicinanza al popolo ucraino, è stato ribadito in più di un’occasione, ma per gli organizzatori la via da percorrere deve essere politica e diplomatica, non militare.


Introdotti dal segretario provinciale della Cgil Attilio Fasulo e dalla presidente provinciale dell’Anpi Michela Cella, sono intervenuti a nome di Emergency Silvia Zani e il coordinatore nazionale di Paxchristi don Renato Sacco. A fare da sottofondo, oltre a decine di bandiere arcobaleno e candele portate dai partecipanti che hanno reso l’atmosfera sempre più suggestiva, le canzoni proposte da Andrea Fabiamo e un’opera realizzata dall’artista Federico Vullo raffigurante il volto di una bambina siriana.


«Siamo qui per chiedere che la guerra cessi – ha detto Zani – e si giunga a una conferenza di pace. Dopo tante parole è trascorso un anno, la guerra non è terminata ma non si è visto un concreto impegno a favore della pace; anzi, il rischio di un escalation del conflitto appare sempre più reale e non ci si rende conto che una guerra non lascia mai vincitori ma solo vittime».


Poi l’atteso intervento di don Renato Sacco, che ha esordito citando tre ragazze, la russa Daria, la bielorussa Olga e l’ucraina Katia, tutte rifugiate in Italia e divenute nel frattempo amiche: «Sono state invitate dal Movimento non violento – ha detto – perché rappresentano, ciascuna nel suo Paese, i movimenti per la pace, la non violenza e l’obiezione di coscienza. Se la vita è faticosa per tutti, lo è ancora di più per chi è contro la guerra, perché sei considerato (nelle due Nazioni in conflitto soprattutto, ndr) un “traditore della patria” se non addirittura una “terrorista”, come nel caso di Olga, che per il regime di Minsk potrebbe rischiare addirittura la pena capitale». Analoga la situazione in Russia, dove il dissenso alla politica di Putin è comunque presente, «ma basta pronunciare la parola “guerra” per finire dietro le sbarre». Poi una sorta di atto d’accusa rivolto a tutti gli altri Paesi, inclusa l’Italia: «A quelli che dicono che l’unico modo per aiutare l’Ucraina sia inviare armi queste tre ragazze rispondono che nessuna di loro vuole la guerra e che esiste un’altra scelta oltre a quella delle armi».


«Siamo a un anno dall’inizio di questa guerra, esiste un invasore e un invaso, nessuno lo nega. Dobbiamo però dire che questa guerra non è iniziata il 24 febbraio 2022, ma molto prima, ma a noi non interessava. Come non interessano tante altre guerre che si stanno combattendo nel mondo. In questi ultimi mesi siamo travolti dalla retorica di tutti, dove ci viene detto che l’unico modo sia quello di spendere di più in armi, come l’Italia, che ne ha già inviate in Ucraina per un valore di 800 milioni di euro. Noi siamo qui a dire che il vero problema è la guerra, che deve essere ripudiata. Non si tratta di una guerra sbagliata perché la fa Putin, ma perché è sbagliata in sé. Cosa proporre allora? La risposta nella politica, ma non l’abbiamo, ma solo tanti sorrisi da parte dei potenti». E ancora: «Non dobbiamo rassegnarci ad accettare tutto questo, perché la guerra uccide, ma prima ancora divide. E non accettiamo chi dice “se non sei così sei filo putiniano”. Questo è volere la guerra e non la pace. Ma lo stesso Putin sino a qualche anno fa non era considerato un amico? Il nostro Governo ha venduto alla Russia armi sino al 2015, ma allora si tratta di un affere, perché la guerra è un grosso affare. Non dobbiamo alzare forte questo grido di indignazione e lo dobbiamo chiedere anche alla politica».


Per don Renato «si spende sempre più per le armi e la guerra attuale è la giustificazione perfetta per portare le spese militari al 2% del Pil, 104 milioni di euro al giorno. Non possiamo accettare questa cosa. Quando si dimentica cosa è la guerra si pensa che sia la soluzione». Infine una riflessione locale: «Ci troviamo a Novara e non possiamo ricordare che a Cameri si producono gli F-35. Forse ci siamo un po’ distratti, forse abbiamo pensato che creano posti di lavoro. Ma questi aerei non servono a spegnere gli incendi ma sono dei caccia bombardieri adattati per il trasporto di ordigni nucleari che ospitiamo a Ghedi e ad Aviano. Oggi il rischio nucleare è sul tavolo e non lo possiamo accettare. E allora la politica batta un colpo. Come ha detto lo stesso capo di Stato maggiore italiano “questa guerra non potrà avere una soluzione militare”. Diamo retta a chi se ne intende. Non possiamo accettare che si metta una bandiera su un mucchio di macerie».

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