Ergastolo definitivo per l’omicida del fratello a Trecate

La Cassazione ha rigettato il ricorso di Rosario Saporito, il quarantenne trecatese condannato due anni fa dalla Corte d’Assiste di Novara per l’omicidio del fratello Daniele

Sentenza definitiva. La Cassazione ha rigettato il ricorso di Rosario Saporito, il quarantenne trecatese condannato all’ergastolo due anni fa dalla Corte d’Assiste di Novara per l’omicidio del fratello Daniele, 36 anni, avvenuto il 2 novembre del 2019 nella loro abitazione di Trecate in via Plinio. La pena del carcere a vita era stata confermata in Appello a Torino nel gennaio di quest’anno e a nulla è servita la carta della Suprema Corte, l’ultima spendibile per poter cambiare il verdetto: ora dovrà essere scontata dall’uomo ritenuto colpevole di omicidio volontario premeditato e aggravato dal legame famigliare, porto e detenzione di arma clandestina, quella utilizzata per il delitto. Confermato anche un risarcimento di 280 mila euro ciascuno per i due figli della vittima, che si sono costituiti parte civile, mentre il risarcimento è da definire in sede civile per l’ex moglie.

Saporito, che si trova in carcere, ha sempre sostenuto di essersi difeso, ma la ricostruzione e gli accertamenti dei carabinieri hanno smentito la sua tesi. Riteneva che Daniele avesse avuto una relazione nascosta con la sua ex fidanzata, e gli addebitava anche la fine della storia. Ne aveva parlato anche in precedenza coi parenti, minacciando di fare del male al fratello.

Il giorno della tragedia Daniele era da poco rientrato dalla Sardegna, dove aveva lavorato per tutta l’estate come pizzaiolo in un campeggio. Rosario lo aveva raggiunto nella casa di famiglia e gli aveva sparato cinque colpi, uno in fronte a bruciapelo, quando il fratello era già accasciato a terra. Tutto sotto gli occhi di uno dei figli della vittima, ancora oggi traumatizzato.

Dopo gli spari Rosario era fuggito in direzione del Pavese, verso la Lomellina, dove abita l’ex compagna. All’epoca si era temuto anche per lei, tanto che i carabinieri avevano organizzato una protezione della donna. Sentendosi braccato, era tornato a Novara ed era andato a costituirsi alla caserma dei carabinieri. Una perizia psichiatrica in fase di indagine l’ha ritenuto pienamente capace di intendere e volere, e di stare in giudizio.

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La Cassazione ha rigettato il ricorso di Rosario Saporito, il quarantenne trecatese condannato due anni fa dalla Corte d’Assiste di Novara per l’omicidio del fratello Daniele

Sentenza definitiva. La Cassazione ha rigettato il ricorso di Rosario Saporito, il quarantenne trecatese condannato all’ergastolo due anni fa dalla Corte d’Assiste di Novara per l’omicidio del fratello Daniele, 36 anni, avvenuto il 2 novembre del 2019 nella loro abitazione di Trecate in via Plinio. La pena del carcere a vita era stata confermata in Appello a Torino nel gennaio di quest’anno e a nulla è servita la carta della Suprema Corte, l’ultima spendibile per poter cambiare il verdetto: ora dovrà essere scontata dall’uomo ritenuto colpevole di omicidio volontario premeditato e aggravato dal legame famigliare, porto e detenzione di arma clandestina, quella utilizzata per il delitto. Confermato anche un risarcimento di 280 mila euro ciascuno per i due figli della vittima, che si sono costituiti parte civile, mentre il risarcimento è da definire in sede civile per l’ex moglie.

Saporito, che si trova in carcere, ha sempre sostenuto di essersi difeso, ma la ricostruzione e gli accertamenti dei carabinieri hanno smentito la sua tesi. Riteneva che Daniele avesse avuto una relazione nascosta con la sua ex fidanzata, e gli addebitava anche la fine della storia. Ne aveva parlato anche in precedenza coi parenti, minacciando di fare del male al fratello.

Il giorno della tragedia Daniele era da poco rientrato dalla Sardegna, dove aveva lavorato per tutta l’estate come pizzaiolo in un campeggio. Rosario lo aveva raggiunto nella casa di famiglia e gli aveva sparato cinque colpi, uno in fronte a bruciapelo, quando il fratello era già accasciato a terra. Tutto sotto gli occhi di uno dei figli della vittima, ancora oggi traumatizzato.

Dopo gli spari Rosario era fuggito in direzione del Pavese, verso la Lomellina, dove abita l’ex compagna. All’epoca si era temuto anche per lei, tanto che i carabinieri avevano organizzato una protezione della donna. Sentendosi braccato, era tornato a Novara ed era andato a costituirsi alla caserma dei carabinieri. Una perizia psichiatrica in fase di indagine l’ha ritenuto pienamente capace di intendere e volere, e di stare in giudizio.

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