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«Fermiamo i suicidi in carcere, siamo a 49», maratona della Camera penale

Questa mattina tre ore di interventi per sensibilizzare istituzioni e opinione pubblica. Il garante regionale: «In Piemonte 40 suicidi sventati e 600 fenomeni di autolesionismo»

Sono 49 i suicidi che dall’inizio dell’anno a oggi si contano nelle carceri italiane. Il 45esimo è avvenuto solo due settimane fa proprio nella casa circondariale di Novara: un detenuto di 19 anni si è tolto la vita nella sua cella, sarebbe dovuto uscire il prossimo 17 agosto.

Un fenomeno che le Camere penali italiane hanno portato alla luce da tempo. Questa mattina, 4 luglio, davanti all’ingresso del tribunale la Camera di Novara ha promosso una maratona di tre ore per sensibilizzare istituzioni e opinione pubblica.

«È il momento per dire alle istituzioni nazionali e regionali di affrontare di petto la questione – ha affermato il garante piemontese dei detenuti, Bruno Mellano -. Il numero dei suicidi sono talmente allarmanti che avremo un 2024 tragico: 85 nel 2022, 69 nel 2023, oggi siamo già a 49. A questi numeri si devono aggiungere i tentativi di suicidio: in Piemonte a fine giugno ne abbiamo contati 40 sventati da altri detenuti o dagli agenti, oltre 400 fenomeni di autolesionismo grave quando nel 2023 erano 600 a fine anno. Ci sono dunque tutti i numeri che dicono che dobbiamo intervenire con norme straordinarie anche prendendo spunto dalle parole del presidente Mattarella. Ho letto il comunicato sul decreto carceri che però sembra smontare le attese».

Un appello alle associazioni del territorio è stato fatto dalla garante cittadina, Nathalie Pisano: «Siamo avviando con Cst il tavolo carcere per capire quali siano i bisogni: che le associazioni entrino, si informino perchè abbiamo bisogno di dare ossigeno alla struttura, sia per quanto riguarda i volontari che il sostegno psicologico.

Numerosi gli interventi da parte degli avvocati penalisti a cominciare dal neo eletto presidente della Camera penale, Federico Celano, oltre a Roberto Rognoni, Renzo Inghilleri e Giovanni Porzio, ma anche la responsabile dei Gip del tribunale di Novara, Maria Amoruso.

«Ricevo lettere dai detenuti con richieste a volte molto semplice, in altri casi hanno bisogno un consiglio su come accettare o meno l’eredità di un congiunto e la necessità di partecipare al funerale di un proprio caro – ha detto l’assessore ai Servizi sociali e avvocato, Teresa Armienti -. Molti hanno paura di dover uscire perchè non sanno dove andare. È necessario creare un ponte tra interno ed esterno e con la giustizia riparativa abbiamo fatto numerosi percorsi. C’è bisogno di un sistema che funzioni, ma anche di una comunità civile disposta a dare lavoro e casa a chi esce dal carcere».

Provocatorie le parole dell’avvocato Alessandro Brustia, ex presidente della Camera penale: «In Italia è stata ripristinata la pena di morte, cioè la morte per pena: i 49 suicidi ne sono la prova inequivocabile – ha affermato -. Dovremmo anche smetterla di chiamarli suicidi: siamo di fronte a una strage silenziosa che non solo deve farci indignare ma dovrebbe esortarci in due direzioni: chiedere al Parlamento di agire immediatamente e smuovere l’opinione pubblica: se muore un carcerato ci voltiamo volentieri dall’altra parte».

Il più giovane a intervenire è stato Mattia Sacchelli, 14 anni: «Non sono mai entrato, ma a volte in casa ne parliamo. So che non si deve morire lì. Lo Stato deve garantire a queste persone di vivere, non posso accettare che, anche se una persona ha sbagliato può togliersi la vita».

Hanno portato la propria voce anche lo scrittore Alessandro Barbaglia che ha raccontato la sua esperienza di laboratorio al carcere di Opera, e gli attori Elena Ferrari e Mariano Arenella che hanno letto un testo di Armando Punzo, direttore del Teatro di Volterra e della compagnia della fortezza interna al carcere.

Di sanità penitenziaria ha parlato il consigliere regionale Mimmo Rossi: «In carcere ci sono le stesse contraddizioni che ci sono in società, ma senza che detenuti abbiano alternative: fuori chi può va in privato, in carcere no. Cercheremo di ripetere l’appello al governo, all’Ordine dei medici, all’università: nè medici nè infermieri vogliono più lavorare in carcere e questo sta creando un problema di giustizia sociale, la situazione è esplosiva: non bastano 100 agenti nuovi, c’è bisogno di medici, educatori, assistenti che garantiscano trattamenti coerenti».

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Cecilia Colli

Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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