Un’intervista rapida ma colma di significato quella che ha rilasciato a La Voce monsignor Filippo Ciampanelli novarese, classe 1978, nominato vescovo proprio da papa Francesco all’inizio di quest’anno e ordinato il 19 febbraio scorso, da poco rientrato a Roma dopo alcuni giorni trascorsi a Novara per la Pasqua. Questa mattina Ciampanelli, impegnato nel Dicastero per le Chiese Orientali – che si occupa dei cattolici di rito diverso da quello latino, che vivono per lo più in zone oggi dilaniate da vari conflitti come la Terra Santa e più in generale il Medio Oriente e l’Ucraina – ha potuto rendere omaggio alla salma del defunto papa Francesco.
Qual è l’atmosfera che si respira a Roma in queste ore?
Direi che viene facile lasciarsi trasportare, non solo dal flusso costante di pellegrini in arrivo, ma anche dall’emozione: tutti, senza dire nulla, sanno di essere qua per un momento che tocca le corde importanti della vita. È il mistero della morte di un padre, di una persona cara che ha dato tanto a molti, direi a tutti: se si abita un dolore di questo tipo viene alla luce l’amore e dunque si va all’essenziale.
Ha avuto modo di vedere il papa da vicino in diverse circostanze, anche aiutandolo nella lettura di alcuni discorsi e in alcuni viaggi apostolici all’estero. Quali sono i ricordi che le vengono in mente?
In questi momenti se ne affollano tanti. Se dovessi sceglierne uno, adesso mi viene in mente Francesco che ringrazia. Ricordo due episodi in particolare. Era il 2021: era da poco tornato dalla Slovacchia quando volle radunare quelli che avevano collaborato alla preparazione di quel viaggio. Eravamo in diversi in una sala abbastanza capiente. Lui entrò con un’agenda e una penna, ci fede sedere raccomandando di metterci comodi e cominciò a chiedere suggerimenti, idee, proposte per i futuri viaggi, dicendo: «Parlate con libertà!». Poi dopo quello scambio improvvisato, dove noi parlavamo e lui prendeva appunti, si alzò e passò a salutarci uno ad uno, con un grazie per ciascuno, spesso con una battuta. E con quel sorriso che ti rimane impresso, anche dopo anni, insieme a quel suo sguardo diretto e benevolo, e pure furbo.
Ma c’è stato un secondo momento in cui ho sperimentato l’attitudine del papa a ringraziare. È stato dopo il viaggio nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan. Si era dovuta rimandare la visita, prevista nel 2022, a causa dei suoi problemi al ginocchio e il viaggio ebbe luogo a inizio 2023. Fu molto intenso, ci furono parole e gesti di pace eloquenti, e alcune espressioni forti sul neocolonialismo economico nei confronti del continente africano che furono ignorate da molti media, insieme a incontri davvero belli con la Chiesa locale. Era ritornato e una mattina, mentre eravamo in ufficio, ci dissero di scendere di corsa all’ingresso perché c’era il papa. Era venuto apposta lui in Segreteria di Stato. Visto che si era dovuto preparare il viaggio due volte, aveva pensato non di invitarci da lui ma di venire lui stesso a ringraziare. Ci fece accomodare e ci disse che non aveva altro da chiedere, ma voleva solo dire grazie, stringere le mani, guardarci negli occhi, darci una benedizione. Noi facevamo fatica a trovare le parole e lui fece qualche battuta. Ecco, aveva un senso incredibile di gratitudine, di gratuità. Anche quando mi capitava di leggere per lui, alla fine continuava a ripetere: grazie, grazie, grazie.
Qual è, in poche parole, l’eredità di Francesco?
In questi giorni mi sono venute in mente tre parole: la prima è misericordia, un termine che delinea il volto di Dio, di un Dio che è infinito amore e che sempre perdona; e che domanda a chi lo segue di essere misericordioso a sua volta. Mi sembra l’essenziale di quanto ha voluto dirci con la sua vita. E poi altre due parole, che sono una conseguenza: pace, che è un’esigenza accorata ma anche un modo di vivere; e gioia, il modo di essere cristiani secondo Francesco, visto che abbiamo ricevuto un dono e noi stessi siamo chiamati a riconoscerci e farci dono. Tra l’altro, ogni volta che ho incontrato il papa l’ho visto contento: mi ha sempre colpito questa sua serenità di fondo, con tutti i problemi e le inquietudini che portava nella testa e nel cuore…
Guardando all’immediato futuro c’è tanta attesa: quali sono le impressioni momento?
È vero, adesso c’è tanta attesa, curiosità, si dice di tutto e si vuole sapere ancora di più. Io credo però che l’atteggiamento migliore da tenere in questi giorni, quello che immagino Francesco apprezzerebbe di più, sia quello di non lasciarci assorbire dalla curiosità, ma di fare qualcosa di concreto. Direi che sarebbe bello passare «dal commuoverci allo smuoverci». Fare in modo, cioè, che quello che ci ha colpito di buono non rimanga una notizia, ma tocchi e smuova qualcosa nella vita. Quanto Francesco ci ha detto sulla fraternità, sulla pace e sul creato ma sottolineerei, in queste ore, sull’importanza di pregare – «non dimenticatevi di pregare per me!» ripeteva Francesco – sui gesti di carità e di perdono, non dovrebbe rimanere lettera morta, qualcosa, come diceva lui, «da immaginetta», ma provocarci in prima persona a metterne in pratica qualcosa. Altrimenti si passa da una notizia all’altra senza che nulla cambi nella vita e, soprattutto in questo caso, sarebbe un vero peccato.
E quali speranze per il futuro?
Una frase che Francesco ripeteva spesso era: «Non lasciatevi rubare la speranza». Direi che sarebbe un bel punto di partenza per la Chiesa: sentire la chiamata a far fruttificare quei semi di bene che questo papa ha posto in terra, specialmente abbracciando il più possibile i cosiddetti lontani, che poi sono i più vicini al cuore di Dio. E poi abbiamo tutti bisogno di non lasciarci rinchiudere dalle negatività e dalle paure del momento per trovare in Dio (e nel bene per chi non crede) la forza di sorridere e di fare quello che Francesco ripeteva sempre, alla fine di ogni incontro e riunione di lavoro: «Andate avanti!».