Una foto con l’immagine della sorella in un lago di sangue, ferita all’addome, che urlava dal dolore. Le era arrivata con un messaggio dal cellulare del cognato: «Dammi 6 mila euro o ammazzo tua sorella», minacciava lui. La donna, in preda al panico, aveva chiamato la nipote (figlia della donna ferita) e la ragazza aveva subito allertato le forze dell’ordine.
In realtà, è emerso dopo i controlli dei carabinieri, si era trattato di un accoltellamento simulato, costruito ad hoc solo per avere soldi dalla famigliare residente in Marocco: questo il motivo per cui M.O., 49 anni, abitante a Novara, e il compagno R.G., di 37, sono ora a processo con l’accusa di tentata estorsione. Forse pensavano che la vicenda si chiudesse fra le mura domestiche, senza intoppi e senza intrusioni esterne. E invece, grazie alla segnalazione arrivata in caserma, è emerso il tentativo di ricatto. Non c’era stato alcun pericolo di morte per M.O., che in realtà, almeno secondo quanto sostiene la procura, aveva organizzato tutto assieme al convivente per convincere la sorella a mandare loro dei soldi.
La vicenda risale al 30 gennaio di quattro anni fa. La figlia dell’imputata, cui la zia, sotto choc e in lacrime, aveva girato dal Marocco la foto in cui M.O: sembrava gravemente ferita da due coltellate alla pancia, aveva immediatamente segnalato l’episodio. Si era messo in moto il lavoro per identificare l’appartamento in cui era avvenuto il presunto accoltellamento, visto che la giovane non era in grado di dirlo perché da anni non aveva rapporti con la madre) e lì i militari avevano cercato la coppia. Il proprietario dello stabile, che li ospitava, aveva detto di non vederli da un po’. Ma i carabinieri avevano atteso pazientemente i due e alla fine li avevano visti rientrare. Dopo una visita medica era risultato che la donna accoltellata aveva soltanto qualche graffietto all’addome, presumibilmente auto-inferto. E che ferite e minacce di morte erano state una sorta di messinscena per spaventare la sorella e convincerla a mandare i soldi richiesti. Anche l’analisi dei cellulari, e i messaggi scambiati fra i due imputati, avrebbe confermato che non c’era mai stata una situazione di pericolo.