«Palese è al momento della richiesta di convalida del fermo e di applicazione della misura cautelare la totale mancanza di indizi a carico di Nerini e Perocchio che non siano mere, anche suggestive supposizioni. Nulla è stato aggiunto al quadro esistente al momento della richiesta e che, al contrario il già scarno quadro indiziario sia stato ancor più indebolito». Lo ha scritto il giudice per le indagini preliminari di Verbania, Donatella Banci Buonamici, nelle ventitrè pagine di ordinanza con cui la scorsa notte ha rimesso in libertà il gestore della funivia del Mottarone, Luigi Nerini, il direttore di esercizio, Enrico Perocchio, e messo ai domiciliari il capo servizio, Gabriele Tdini.
«Tadini sapeva perfettamente che il suo gesto scellerato – si legge ancora nel provvedimento – aveva provocato la morte di 14 persone» e per questo motivo ha deciso di «condividere questo immane peso, anche economico, con le uniche due persone che avrebbero avuto la possibilità di sostenere un risarcimento danni». Dunque, Tadini ha chiamato «in correità» i «soggetti forti del gruppo» (Nerini e Perocchio, ndr) per attenuare le sue «responsabilità».
Il gip ha così smontato l’impianto accusatorio basato sulla testimonianza di Tadini ritenendo che quest’ultimo «non abbia la capacità di comprendere la gravità delle proprie condotte e che, trovandosi in analoghe situazioni reiteri con la stessa leggerezza altre condotte talmente pregiudizievoli per la comunità».
Dalle dichiarazioni di altri dipendenti della funivia del Mottarone, tutte riportate nel testo dell’ordinanza, «appare evidente il contenuto fortemente accusatorio nei confronti del Tadini» in quanto «tutti concordemente hanno dichiarato che la decisione di mantenere i ceppi era stata sua, mentre nessuno ha parlato del gestore o del direttore di servizio».
Nella giornata di ieri, in tre ore di interrogatorio, è stato lo stesso Tadini ad ammettere di aver inserito più volte i forchettoni impedendo al sistema di sicurezza di entrare in funzione. Mentre Nerini e Perocchio, dopo le prime ammissioni durante l’interrogatorio in procura lo scorso 25 maggio, hanno cambiato versione dei fatti.
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