Era il 29 maggio 2017 quando Lucrezia Paletti, novarese ultraottantenne, cadde da una sedia all’interno della casa famiglia in cui era ospitata da diversi mesi, rompendosi il femore. Una frattura cui erano seguite delle complicazioni che poi avevano portato alla morte pochi giorni dopo, il 1° giugno in ospedale.
In Corte d’Assise a Novara, a distanza di sei anni, si è concluso con tre condanne e tre assoluzioni il processo per quella tragedia che, secondo la Procura e ora anche secondo i giudici, poteva essere evitata se l’anziana fosse ricoverata in una struttura ad hoc e non in una casa famiglia che, seppur perfettamente in regola, non poteva ospitare persone non autosufficienti. Processati per «morte come conseguenza di abbandono di incapace», hanno rimediato 4 mesi di reclusione il figlio della vittima, che aveva portato la madre alla Fondazione Aurora di Galliate, e 6 mesi ciascuno la coppia, marito e moglie, che gestivano la struttura all’epoca. Assolti con formula piena il figlio della coppia, che aveva solo compiti di inserviente, la nuora della pensionata, e il medico di famiglia.
Tutti i difensori avevano chiesto l’assoluzione sottolineando come l’anziana fosse una persona perfettamente in grado di svolgere le normali funzioni vitali, curata come se fosse a domicilio.
In base a quanto ipotizzato dagli investigatori, gli imputati erano stati superficiali e consentito il ricovero dell’ottantenne pur potendo la casa-famiglia galliatese ospitare solo persone autosufficienti. Lucrezia, cardiopatica cronica, era invece invalida civile e costretta su sedia a rotelle, e pertanto si sarebbe dovuto cercare per lei un luogo più idoneo. La sera della caduta, inoltre, non era nemmeno legata alla sua sedia. Da alcune testimonianze raccolte durante il processo è emerso che l’anziana era già caduta almeno in un’altra occasione. Categorico il medico legale consulente della Procura: «Viste le patologie e le caratteristiche di salute, l’anziana non poteva assolutamente stare in quella struttura. Era quantomeno necessario il ricovero in una Rsa».