Già condannato per maltrattamenti dopo nozze combinate, ora accusato di violenza

Una storia di emancipazione, di riscatto sociale, quella denunciata dalla vittima. La vicenda è finita in tribunale

Un matrimonio combinato dai genitori quando lei era bambina, poi un vero innamoramento, le nozze, infine i problemi: minacce, anche di morte, botte anche quando era in gravidanza, violenze, la fuga di casa e il divorzio. «Diceva che io sono una donna e devo occuparmi solo delle cose di casa. Ma qui siamo in Italia, non in Marocco. C’è una cultura diversa che bisogna accettare con serenità: non possiamo crescere i nostri figli con l’idea che la donna debba essere sottomessa al marito e non debba mai uscire».

Questo quanto raccontato da una ventitreenne di origine marocchina, in Italia da diverso tempo, testimone nelle aule del tribunale di Novara contro il marito O.R., trentatreenne di origine marocchina. Già processato e condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione per maltrattamenti in famiglia, nella sua drammatica testimonianza in aula la moglie aveva anche detto: «In qualche occasione mi costringeva ad avere rapporti sessuali». Questo il motivo per cui il giudice che ha scritto la sentenza ha trasmesso gli atti in procura per approfondire quelle dichiarazioni e ora l’uomo è di nuovo a processo, questa volta per la più pesante accusa di violenza sessuale.

Una storia di emancipazione, di riscatto sociale, quella denunciata dalla vittima. Una storia di profondo rispetto per la cultura e le usanze del paese di provenienza ma anche di consapevolezza che l’Occidente ha tradizioni ben diverse: «Quando sono stata promessa sposa, a 15 anni, il mio futuro marito ne aveva già più di 20, e nel nostro Paese faceva la figura dello “zitello”. I suoi genitori hanno fissato la data del matrimonio: è successo tutto così in fretta che non capivo bene neanche cosa stesse succedendo».

Accettata la relazione e poi le nozze, qualche tempo dopo sono cominciati i problemi: «Lui ha cambiato atteggiamento quando sono rimasta incinta. A tavola mi minacciava spesso: “Prima o poi questo coltello lo uso su di te”. Una volta mi ha piantato una forchetta su un braccio: “Per oggi ti è andata bene. La prossima non sarà così”. Ho subito più volte violenze, anche perché voleva farmi abortire. I rapporti sessuali non li faceva se non con la forza». In ospedale, quando era andata a medicarsi per le percosse subite, aveva detto di essere caduta da sola. Da qui, qualche anno fa, la decisione di scappare di casa: «Poi abbiamo anche divorziato. Sono stata malissimo e ancora oggi ho paura di trovarmelo per strada».

L’ex marito ha chiesto perdono per qualche vessazione ma nega qualsiasi tipo di abuso.

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Una storia di emancipazione, di riscatto sociale, quella denunciata dalla vittima. La vicenda è finita in tribunale

Un matrimonio combinato dai genitori quando lei era bambina, poi un vero innamoramento, le nozze, infine i problemi: minacce, anche di morte, botte anche quando era in gravidanza, violenze, la fuga di casa e il divorzio. «Diceva che io sono una donna e devo occuparmi solo delle cose di casa. Ma qui siamo in Italia, non in Marocco. C’è una cultura diversa che bisogna accettare con serenità: non possiamo crescere i nostri figli con l’idea che la donna debba essere sottomessa al marito e non debba mai uscire».

Questo quanto raccontato da una ventitreenne di origine marocchina, in Italia da diverso tempo, testimone nelle aule del tribunale di Novara contro il marito O.R., trentatreenne di origine marocchina. Già processato e condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione per maltrattamenti in famiglia, nella sua drammatica testimonianza in aula la moglie aveva anche detto: «In qualche occasione mi costringeva ad avere rapporti sessuali». Questo il motivo per cui il giudice che ha scritto la sentenza ha trasmesso gli atti in procura per approfondire quelle dichiarazioni e ora l’uomo è di nuovo a processo, questa volta per la più pesante accusa di violenza sessuale.

Una storia di emancipazione, di riscatto sociale, quella denunciata dalla vittima. Una storia di profondo rispetto per la cultura e le usanze del paese di provenienza ma anche di consapevolezza che l’Occidente ha tradizioni ben diverse: «Quando sono stata promessa sposa, a 15 anni, il mio futuro marito ne aveva già più di 20, e nel nostro Paese faceva la figura dello “zitello”. I suoi genitori hanno fissato la data del matrimonio: è successo tutto così in fretta che non capivo bene neanche cosa stesse succedendo».

Accettata la relazione e poi le nozze, qualche tempo dopo sono cominciati i problemi: «Lui ha cambiato atteggiamento quando sono rimasta incinta. A tavola mi minacciava spesso: “Prima o poi questo coltello lo uso su di te”. Una volta mi ha piantato una forchetta su un braccio: “Per oggi ti è andata bene. La prossima non sarà così”. Ho subito più volte violenze, anche perché voleva farmi abortire. I rapporti sessuali non li faceva se non con la forza». In ospedale, quando era andata a medicarsi per le percosse subite, aveva detto di essere caduta da sola. Da qui, qualche anno fa, la decisione di scappare di casa: «Poi abbiamo anche divorziato. Sono stata malissimo e ancora oggi ho paura di trovarmelo per strada».

L’ex marito ha chiesto perdono per qualche vessazione ma nega qualsiasi tipo di abuso.

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