Una vita da reclusa: poteva uscire di casa solo per andare a lavorare. Nessun contatto con altre persone, nemmeno un saluto o un veloce scambio di parole coi vicini. Il marito le controllava messaggi e chiamate, e a volte andava fino al posto di lavoro di lei per vedere come si comportava.
Una storia di sopraffazione e segregazione quella che vede protagonista una trentenne di origine nigeriana abitante nel quartiere di Sant’Agabio a Novara, ora affidata a una comunità protetta. Oltre un anno fa, nel gennaio 2023, aveva deciso di rivolgersi alla polizia. Era scappata di casa e aveva trascorso la notte in stazione: «Ho paura di venire uccisa». Tutto questo perché stanca di privazioni, minacce di morte, botte, denigrazioni: «Sei brutta, non ti vuole nessuno. Nessun altro uomo potrà avvicinarsi a te», una delle frasi più ricorrenti che le diceva il marito. E ancora: «Ti ho salvata dalla povertà, e ti sopporto».
Ora l’uomo, P.B., 32enne, è sotto processo in tribunale con l’accusa di maltrattamenti in famiglia.
Quella della coppia, è emerso dalla denuncia, è una storia costellata da diversi interventi delle forze dell’ordine, cui sono stati raccontati calci, pugni, schiaffi, capelli strappati: la donna avrebbe subito per diversi mesi. Già prima di quel gennaio si era allontanata di casa altre volte. In una occasione si era rifugiata da una collega di lavoro, chiedendo aiuto, e il marito le avrebbe detto: «Vedi di tornare, o ti rispedisco in Africa». Nell’ottobre di due anni fa sarebbe spuntato anche un coltello. Anche le colleghe l’avevano vista spesso con lividi e segni di percosse: «Un giorno è arrivata al lavoro con un occhio nero».