Il Covid allunga le liste d’attesa, l’ospedale Maggiore ha un piano straordinario

L’esplosione del Covid ha colpito le regioni italaine in modo diverso, ma la reazione è stata la stessa: sospensione delle attività sanitarie programmate, ricoveri e interventi solo urgenti per dare priorità ai pazienti con il virus. Oggi, dopo due mesi lockdown e uno di assestamento, si contano i danni che in tutte le aziende sanitarie sono ingenti. Innanzitutto bisogna rimettersi in pari, ma con condizioni che non sono più le stesse di prima. Le misure previste dal governo obbligano al distanziamento tra i pazienti e, di conseguenza, gli assembramenti nelle sale d’attesa o negli ambulatori non sono più ammissibili. Dunque la riprogrammazione delle attività implica una diminuzione delle visite, della diagnostica e dei ricoveri.

Ma l’ospedale Maggiore ha messo in atto un piano straordinario che entro fine agosto dovrebbe riuscire a rimettere in pari le prestazioni sospese e riaprire le agende per quelle nuove: «Abbiamo iniziato a lavorarci a metà maggio quando abbiamo avuto il via libera della Regione – spiegano il direttore sanitario Roberto Sacco e Andrea Caponi dirigente dell’area sanitaria -. Per quanto riguarda i ricoveri, durante l’emergenza l’attività urgente ha proseguito con una sovrapposizione del Covid che ha sostituito, nel periodo invernale, quello che negli anni precedenti abbiamo affrontato con le polmoniti stagionali. Il mondo chirurgico è stato quasi interamente sospeso: a fine febbraio abbiamo chiuso l’attività salvaguardano solo gli interventi oncologici e la patologia tempo dipendente in quanto la maggior parte delle sale operatorie è stata occupata dalla terapia intensiva, i chirurghi impegnati per l’assistenza covid e questo ha creato numerose difficoltà».

«Nella pianificazione della ripresa  – proseguono – abbiamo privilegiato lo smaltimento di tutta l’attività arretrata importante, in modo particolare quella di Hub, ovvero tutto quello che è fruibile sono nella nostra struttura. Dall’inizio di giugno in poi abbiamo cercato di tutelare alcuni settori che per noi sono critici e che devono avere spazi aggiuntivi come la chirurgia toracica, l’urologia, la chirurgia generale e vascolare. Al 9 luglio le strutture che hanno avuto un numero di ore maggiore di sala operatoria sono state, infatti, l’urologia, la toracica e la senologia: stiamo, quindi, rispettando il piano dando spazio al mondo chirurgico con l’obiettivo di riuscire a chiudere le code».

 

 

Sempre in tema di tempi di attesa «è importante sottolineare – continuano – che esistono aree dove le code sono immense, ma sono anche specialità che non rappresentano il nostro core, come la piccola chirurgia che si può trovare anche in altre strutture. L’ospedale Maggiore  – ricorda Sacco – è il secondo più importante del Piemonte con un bacino d’utenza di quattro province e offre attività per patologie che in altri ospedali del territorio non possono essere trattate. Per questo motivo un Hub di secondo livello, azienda ospedaliero universitaria deve dare priorità ai grandi interventi: stiamo cercando di trovare spazi operatori all’esterno in alcune strutture del territorio dove impiegare i nostri medici e infermieri, ma questo non è per niente facile».

«Sarebbe un errore non dare una priorità e prendere i pazienti come arrivano – afferma Capponi – lo sforzo enorme è quello di farci parte attiva per scegliere le patologie da trattare al fine di garantire al territorio ciò che solo noi possiamo dare: sarebbe sbagliato concentrarci, ad esempio, sulle ernie inguinali, seppur fastidiose, e mettere in secondo piano i tumori».

Un discorso a parte merita il mondo ambulatoriale «molto più complesso – proseguono – perché serve il distanziamento con un conseguente problema di accessibilità alle sale d’attesa e agli ambulatori. A questo si aggiunge il fatto che la Regione ha deciso di creare una piattaforma di gestione con una serie di tecniche di funzionamento che abbiamo dovuto imparare, tra cui il numero unico di prenotazione. Dunque, difficoltà per gli operatori e per gli utenti. Un sistema che non è ancora a regime, una criticità che riscontrano anche le altre aziende sanitarie del Piemonte: capita, infatti, che al momento della prenotazione il primo posto utile non sia a Novara, ma fuori zona e molto lontano. Dunque le persone che si lamentano di questo devono rivolgersi direttamente alla Regione: questo è un sistema che anche noi stiamo subendo».

Un problema di non facile risoluzione: «Se riuscissimo ad abbattere i tempi di attesa per i pazienti del territorio, diventeremmo comunque attrattivi per l’esterno- spiega Sacco -. Inoltre chi prenota in un ospedale fuori dal proprio territorio, perde la classe di priorità. Ad esempio, se io sono di Novara con classe B (prestazione entro 10 giorni) e accetto di essere visitato a Biella, potrei diventare D (60 giorni prer un esame)».

«Questo comporta anche il rischio che il rallentamento della capacità numerica di erogazione si ripercuota sui ricoverati – prosegue Capponi – la radiologia, ad esempio, lavora per gli esterni ma anche per i degenti: sarebbe paradossale dare priorità agli ambulatoriali e far aspettare i ricoverati. Il piano, quindi, prevede anche ampliamento degli orari e prestazioni aggiuntive da parte degli operatori per dare una risposta maggiore; in questo modo, però, chiediamo un ulteriore sforzo a medici e infermieri dopo un periodo di lavoro senza sosta e in un momento che normalmente sarebbe di ferie».

Ma come viene svolto il lavoro nella quotidianità? «Abbiamo dato priorità a tutte le prestazioni che sono state sospese l’8 marzo e che non sono ancora state erogate – spiega Capponi -. Ci sono alcuni reparti che hanno continuato a lavorare regolarmente, altri che avevano un accumulo e hanno aggiunto un ambulatorio per qualche settimana smaltendo il lavoro; altri, invece, che hanno ancora liste di attesa molto lunghe. Per questi abbiamo elaborato un piano straordinario con disposizioni precise della Regione: contattare tutti i pazienti che avevano prenotato e dare loro un nuovo appuntamento. A oggi abbiamo smaltito il 60% del pregresso, circa 8000 pazienti già chiamati che erano in fascia in fascia D; a fine agosto contiamo di smaltire quasi tutto il pregresso. In seguito potremo riaprire le agende per le classi D (differibile) e P (programmata entro 180 giorni) perché U (urgente entro 72 ore) e B (breve) hanno continuato a essere erogate».

Le risposte ricevute sono state le più varigate: “Ormai mi sono rivolto al privato, se aspettavo voi…”, “Il mio caso è diventato urgente, il medico di base ha modificato l’impegnativa e ho già fatto la visita”, “Grazie non ho più bisogno”, “Va bene prenoto nuovamente la visita/esame”.

«Siamo di fronte a una realtà che in molti casi non è prevedibile – continuano – ma entro la fine di agosto ci troveremo ragionevolmente in una situazione pre covid. Le specialità che sono storicamente difficili da smaltire, invece, come la dermatologia o l’oculistica, continueranno a essere problematiche. Anche in questo caso, però, vengono valutate le priorità. Anche per l’area ambulatoriale, infatti, devono essere applicate le stesse regole di quelle dei ricoveri: siamo Hub di secondo livello dunque prima dobbiamo risolvere le priorità. A questo scopo nel 2019 avevamo già differenziato i percorsi di accesso. D’altronde, a parte i grandi ustionati, noi abbiamo le stesse specialità della Città della Salute di Torino senza, però, gli ospedali della prima cintura torinese a fare da supporto. Noi siamo soli sul territorio».


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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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Ma l’ospedale Maggiore ha messo in atto un piano straordinario che entro fine agosto dovrebbe riuscire a rimettere in pari le prestazioni sospese e riaprire le agende per quelle nuove: «Abbiamo iniziato a lavorarci a metà maggio quando abbiamo avuto il via libera della Regione – spiegano il direttore sanitario Roberto Sacco e Andrea Caponi dirigente dell’area sanitaria -. Per quanto riguarda i ricoveri, durante l’emergenza l’attività urgente ha proseguito con una sovrapposizione del Covid che ha sostituito, nel periodo invernale, quello che negli anni precedenti abbiamo affrontato con le polmoniti stagionali. Il mondo chirurgico è stato quasi interamente sospeso: a fine febbraio abbiamo chiuso l’attività salvaguardano solo gli interventi oncologici e la patologia tempo dipendente in quanto la maggior parte delle sale operatorie è stata occupata dalla terapia intensiva, i chirurghi impegnati per l’assistenza covid e questo ha creato numerose difficoltà».

«Nella pianificazione della ripresa  – proseguono – abbiamo privilegiato lo smaltimento di tutta l’attività arretrata importante, in modo particolare quella di Hub, ovvero tutto quello che è fruibile sono nella nostra struttura. Dall’inizio di giugno in poi abbiamo cercato di tutelare alcuni settori che per noi sono critici e che devono avere spazi aggiuntivi come la chirurgia toracica, l’urologia, la chirurgia generale e vascolare. Al 9 luglio le strutture che hanno avuto un numero di ore maggiore di sala operatoria sono state, infatti, l’urologia, la toracica e la senologia: stiamo, quindi, rispettando il piano dando spazio al mondo chirurgico con l’obiettivo di riuscire a chiudere le code».

 

 

Sempre in tema di tempi di attesa «è importante sottolineare – continuano – che esistono aree dove le code sono immense, ma sono anche specialità che non rappresentano il nostro core, come la piccola chirurgia che si può trovare anche in altre strutture. L’ospedale Maggiore  – ricorda Sacco – è il secondo più importante del Piemonte con un bacino d’utenza di quattro province e offre attività per patologie che in altri ospedali del territorio non possono essere trattate. Per questo motivo un Hub di secondo livello, azienda ospedaliero universitaria deve dare priorità ai grandi interventi: stiamo cercando di trovare spazi operatori all’esterno in alcune strutture del territorio dove impiegare i nostri medici e infermieri, ma questo non è per niente facile».

«Sarebbe un errore non dare una priorità e prendere i pazienti come arrivano – afferma Capponi – lo sforzo enorme è quello di farci parte attiva per scegliere le patologie da trattare al fine di garantire al territorio ciò che solo noi possiamo dare: sarebbe sbagliato concentrarci, ad esempio, sulle ernie inguinali, seppur fastidiose, e mettere in secondo piano i tumori».

Un discorso a parte merita il mondo ambulatoriale «molto più complesso – proseguono – perché serve il distanziamento con un conseguente problema di accessibilità alle sale d’attesa e agli ambulatori. A questo si aggiunge il fatto che la Regione ha deciso di creare una piattaforma di gestione con una serie di tecniche di funzionamento che abbiamo dovuto imparare, tra cui il numero unico di prenotazione. Dunque, difficoltà per gli operatori e per gli utenti. Un sistema che non è ancora a regime, una criticità che riscontrano anche le altre aziende sanitarie del Piemonte: capita, infatti, che al momento della prenotazione il primo posto utile non sia a Novara, ma fuori zona e molto lontano. Dunque le persone che si lamentano di questo devono rivolgersi direttamente alla Regione: questo è un sistema che anche noi stiamo subendo».

Un problema di non facile risoluzione: «Se riuscissimo ad abbattere i tempi di attesa per i pazienti del territorio, diventeremmo comunque attrattivi per l’esterno- spiega Sacco -. Inoltre chi prenota in un ospedale fuori dal proprio territorio, perde la classe di priorità. Ad esempio, se io sono di Novara con classe B (prestazione entro 10 giorni) e accetto di essere visitato a Biella, potrei diventare D (60 giorni prer un esame)».

«Questo comporta anche il rischio che il rallentamento della capacità numerica di erogazione si ripercuota sui ricoverati – prosegue Capponi – la radiologia, ad esempio, lavora per gli esterni ma anche per i degenti: sarebbe paradossale dare priorità agli ambulatoriali e far aspettare i ricoverati. Il piano, quindi, prevede anche ampliamento degli orari e prestazioni aggiuntive da parte degli operatori per dare una risposta maggiore; in questo modo, però, chiediamo un ulteriore sforzo a medici e infermieri dopo un periodo di lavoro senza sosta e in un momento che normalmente sarebbe di ferie».

Ma come viene svolto il lavoro nella quotidianità? «Abbiamo dato priorità a tutte le prestazioni che sono state sospese l’8 marzo e che non sono ancora state erogate – spiega Capponi -. Ci sono alcuni reparti che hanno continuato a lavorare regolarmente, altri che avevano un accumulo e hanno aggiunto un ambulatorio per qualche settimana smaltendo il lavoro; altri, invece, che hanno ancora liste di attesa molto lunghe. Per questi abbiamo elaborato un piano straordinario con disposizioni precise della Regione: contattare tutti i pazienti che avevano prenotato e dare loro un nuovo appuntamento. A oggi abbiamo smaltito il 60% del pregresso, circa 8000 pazienti già chiamati che erano in fascia in fascia D; a fine agosto contiamo di smaltire quasi tutto il pregresso. In seguito potremo riaprire le agende per le classi D (differibile) e P (programmata entro 180 giorni) perché U (urgente entro 72 ore) e B (breve) hanno continuato a essere erogate».

Le risposte ricevute sono state le più varigate: “Ormai mi sono rivolto al privato, se aspettavo voi…”, “Il mio caso è diventato urgente, il medico di base ha modificato l’impegnativa e ho già fatto la visita”, “Grazie non ho più bisogno”, “Va bene prenoto nuovamente la visita/esame”.

«Siamo di fronte a una realtà che in molti casi non è prevedibile – continuano – ma entro la fine di agosto ci troveremo ragionevolmente in una situazione pre covid. Le specialità che sono storicamente difficili da smaltire, invece, come la dermatologia o l’oculistica, continueranno a essere problematiche. Anche in questo caso, però, vengono valutate le priorità. Anche per l’area ambulatoriale, infatti, devono essere applicate le stesse regole di quelle dei ricoveri: siamo Hub di secondo livello dunque prima dobbiamo risolvere le priorità. A questo scopo nel 2019 avevamo già differenziato i percorsi di accesso. D’altronde, a parte i grandi ustionati, noi abbiamo le stesse specialità della Città della Salute di Torino senza, però, gli ospedali della prima cintura torinese a fare da supporto. Noi siamo soli sul territorio».


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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore