Passato e presente hanno avuto modo di intrecciarsi, questa mattina all’Ossario della Bicocca, in occasione della commemorazione ufficiale del 173° anniversario della battaglia – avvenuta il 23 marzo 1849 – che concluse la Prima guerra d’indipendenza italiana. Tradizionale appuntamento tenutosi alla presenza delle autorità militari e cittadine cittadine e di una delegazione di alluni della scuola Fornara – Ossola.
Un passato ormai lontano rappresentato da un conflitto bellico, per novaresi e italiani, tornato però drammaticamente d’attualità atraverso le immagini che giungono quotidianamente dall’Ucraina, un Paese neanche troppo distante da noi. Logico un momento di riflessione, proposto nell’omelia di don Andrea Mancini, il parroco della Bicocca che come sempre ha celebrato la messa per la commemorazione di tutti i caduti; e poi negli interventi del prefetto Francesco Garsia, del sindaco Alessandro Canelli e dello storico Paolo Cirri.
«Quante volte – ha detto don Andrea – dovremo fare memorie e celebrazioni per fissare nel profondo della conoscenza che esiste un modo diverso per affrontare i conflitti che appartengono al nostro essere uomini e donne. I conflitti mai verranno eliminati, i tutti gli ambiti. Ma quando impareremo a lasciar prevalere altre logiche, diverse da quella della prepotenza».
Il prefetto ha invece ricordato come «il 17 marzo 1861, data della proclamazione del Regno d’Italia, non sia stata un punto di arrivo ma di partenza di un processo che si concluderà molto più tardi attraverso una combinazione di fattori e anche di fatti. E’ vero che in questo luogo il 23 marzo 1849 si combatté una battaglia che vide l’esercito sardo-piemontese soccombente, ma ci furono molti altri fatti rilevanti dal punto di vista storico che non furono coronati dal successo. Ma da quel processo ne venne comunque fuori un popolo unito che poi con un ulteriore processo portò poi alla repubblica nella quale noi tutti ci riconosciamo».
Oggi, secondo il dettato costituzionale, l’Italia ripudia la guerra, «termine molto forte, non usato a caso. L’Italia non vuole più fare una guerra, usarla come strumento di offesa, vuole utilizzarne altri. Per realizzare l’Unità nazionale ci vollero anche le battaglie e il sangue, ma l’auspicio dei costituenti e quello che non ci voglia più, che non vogliano più le guerra per risolvere i conflitti. Gli avvenimenti di questi giorni ci riportano alla tragicità della guerra e delle sue conseguenze. Noi stiamo accogliendo tante mamme e bambini ucraini che hanno negli occhi il dolore di essere fuggiti perché a rischio della loro vita. L’auspicio è quello che la ragione prevalga e che si trovi presto una soluzione anche a questo conflitto».
Per Canelli «ci ritroviaomo come sempre a ricordare un fatto importante per la nostra città avvenuto nel corso dell’800. Un evento che ha comunque segnato la nostra storia e il nostro percorso, perché anche un atto amministrativo ha comunque una ricaduta nel futuro. La nostra città è nata, cresciuta, fiorita nel corso dell’800. Si è formata in questo periodo, anche architettonicamente e urbanisticamente. La guerra di questi giorni sta toccando un popolo a noi molto vicino, presente, integrato, con tanti suoi cittadini che fanno parte di quel sistema del nostro welfare. Il nostro compito è quello di accogliere nel miglior modo possibile queste persone. Oggi è un giorno di memoria e di ricordo, ma è giusto che bisogna anche imparare dal passato, tutti i fatti devono essere un monito per cercare di migliorarsi. I monumenti sono il segno tangibile di quello che è successo, di quello che siamo stati e di quello che siamo».
Infine Cirri, che ha ricordato come «dopo più di cento anni abbiamo capito di possedere un patrimonio di identità europea che ci unisce. La nostra comunità non è stata toccata, ma dobbiamo riflettere sul fatto che purtroppo la guerra è un evento possibile, che ci può toccare. Novara è stata toccata in quel marzo del 1849, con distruzioni fortunatamente inferiori rispetto a quelle che osserviamo oggi. Il progresso umano anche in questo ambito è andato molto avanti, forse troppo».