Ricordato anche a Novara il 25 Aprile, 78° anniversario della Liberazione, con la tradizionale cerimonia al Monumento ai Caduti di viale IV Novembre, ma soprattutto, dopo che il corteo delle autorità, accompagnato dalla banda musicale di Confienza, si era diretto in Duomo per la tradizionale funzione religiosa, nel cortile del Broletto, dove sono state deposte corone davanti alla stele che ricorda gli oltre millecinquecento uomini e donne caduti durante i lunghi venti mesi della Resistenza.
Di libertà ha parlato la vicepresidente della Provincia Michela Leoni, come «bene assoluto e fondamentale per l’uomo. La libertà è venuta meno quando il popolo italiano ne è stato privato in maniera totale. Solo grazie alle persone che sono cadute durante te il secondo conflitto mondiale noi l’abbiamo potuta riacquistare. E un concetto che diamo per scontato, ma non lo è assolutamente. Tutte le libertà sono fondamentali», citando poi una frase dell’allora capo dello Stato Sandro Pertini rivolta ai giovani: «Non armate la vostra mano ma il vostro animo».
Per l’amministrazione comunale ha preso la parola l’assessore Silvana Moscatelli: «Il 25 Aprile è un momento nel nostro anno in cui ricordiamo un momento molto importante della nostra storia, che ha cambiato un periodo negativo. Da allora partì un percorso verso la libertà, la democrazia e la pace. Un percorso che si concluse con la più bella Costituzione dei Paesi occidentali, la nostra. I padri costituenti vollero una carta che riconciliasse il popolo italiano. A loro va il nostro omaggio doveroso, ma anche a quanti hanno sacrificato la loro vista per donarci questo momento. Ma Resistenza vuol dire anche ricordo, appartiene a tutti noi, che siamo eredi di quegli uomini e quelle donne che hanno combattuto, ma anche di quelle vittime innocenti delle stragi nazifasciste», con un passaggio a chi ha resistito in un’epoca più recente, come al corpo medico e sanitario in occasione della pandemia, «combattendo una battaglia altrettanto dura». E ancora «una guerra, vicina a noi e non comprensibile. Una guerra che ci angoscia, con il peso delle sue conseguenze. Il 25 Aprile deve essere, come fu allora, un momento di ripresa; di rilancio della solidarietà, della resilienza e della crescita». Infine un appello ai giovani: «Studiate la storia, non come successione di eventi, ma con spirito critico. Perché possiate comprendere i meriti e gli errori compiuti, affinché questi ultimi non tornino più a ricadere sulle nostre comunità».
A Roberto Leggero del comitato provinciale dell’Anpi l’orazione ufficiale. Il suo intervento, molto applaudito, Leggero lo ha voluto iniziare con una domanda rivolta ai presenti: «Chi siete? Ciascuno di noi sa che la sua identità non è scritta nella pietra, ma il frutto delle scelte che ciascuno di noi compie ogni giorno. Venendo in questo luogo, oggi, ciascuno di voi ha detto di voler ricordare quella scelta fatta da tanti uomini e donne di voler resistere. Quello scelta che non fece il re nell’ottobre del 1922, non firmando il decreto dello stato d’asedio che avrebbe potuto stroncare la marcia su Roma». Poi, una volta conquistato il potere, il regime ha «trasformato gli stessi italiani in aggressori e carnefici», citando la riconquista della Libia, la guerra d’Etiopia, la partecipazione alla guerra civile spagnola, l’invasione dell’Albania: «Sbaglia chi pensa che l’errore del fascismo fu solo l’alleanza con i tedeschi. Chi lo afferma non conosce né il fascismo né Mussolini. Se il fascismo aveva trasformato gli italiani in aggressori e invasori, la Resistenza ha fatto di noi un popolo libero». Poi Leggero ha rivolto un pensiero al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, oggi in visita proprio nel Cuneese, a Boves: «Per un uomo che ha visto il proprio fratello ucciso dalla mafia davanti ai suoi occhi, la giornata non sarà facile». Ma il 25 Aprile è un giorno di festa «e la Resistenza ci ha liberati prima ancora che con le armi con la forza dell’idea. Il fascismo non era stato una fede politica, ma un crimine dal quale dovevamo riscattarci. Un crimine dal quale non potevamo più essere complici né vittime».