«L’emergenza? Un periodo sospeso in cui si è persa la cognizione del tempo»

A sinistra Della Corte

«Tutto è iniziato il 22 febbraio quando ci fu il primo paziente a Codogno e facemmo la prima riunione in direzione sanitaria alle 7,30 del mattino. Prevedevamo che in breve sarebbe arrivato da noi».  A pochi giorni da quella riunione la terapia intensiva del Maggiore si è trovata nel pieno dell’emergenza, a fronteggiare una situazione che, sebbene prevista, ha messo a dura prova, sotto il profilo fisico ma soprattutto psicologico, tutto il personale. Oggi, a una decina di giorni dal ritorno alla “normalità”, senza più alcun paziente Covid positivo ricoverato nella struttura, a volgere lo sguardo a quel passato che pur recente sembra lontanissimo, è il professor Francesco Della Corte, direttore della struttura complessa di Rianimazione del Maggiore.

 

 

«Dai primi di marzo al 22 maggio abbiamo trattato 90 pazienti. In Piemonte siamo la rianimazione che ha ricoverato il maggior numero di pazienti».

Una battaglia, quella contro il virus, che ha comportato una vera e propria “rivoluzione” nell’organizzazione della struttura e nel lavoro. Occupati i 16 posti letto della rianimazione generale «quando ci siamo accorti che il numero continuava a crescere, e quindi avevamo bisogno più posti – dice Della Corte – abbiamo allestito un corridoio esterno alla rianimazione e in quel momento abbiamo raggiunto il massimo dei posti, 29». «Fortunatamente avendo preceduto la comparsa dei problemi siamo riusciti a non trovarci mai in una condizione, pur di superlavoro, di sofferenza tale da dover mandare pazienti altrove».

E fin qui è l’asettico aspetto “numerico” dell’emergenza Covid, tutta un’altra cosa quello “psicologico”. «Il primo periodo (le prime due settimane, ndr), con l’arrivo di pazienti in gravi condizioni e con una mortalità alta, è stato psicologicamente pesante, così come pesante è stata la situazione dal punto di vista lavorativo per le condizioni in cui si operava. Nessun paziente all’interno dell’ospedale è stato lasciato senza terapia, nessuno è stato lasciato solo. E’ stato un percorso che è passato senza tempo perché si è persa la cognizione del tempo. Un periodo “sospeso” in cui è cambiata la nostra vita. Malattia nuova, pericolo di contagio, rischio di contagio ai familiari, la città spettrale…è stato un mondo diverso Tutti noi abbiamo avuto una sofferenza ma anche valori positivi che ci hanno sostenuto.  C’è stata una dedizione del personale veramente commovente, così come è stato eccezionale il supporto che abbiamo ricevuto da tutti, le gare di solidarietà dall’acquisto di attrezzature fino al ristorante che ogni giorno ci portava i pasti. Queste sono le cose belle che hanno funzionato».

 

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«Tutto è iniziato il 22 febbraio quando ci fu il primo paziente a Codogno e facemmo la prima riunione in direzione sanitaria alle 7,30 del mattino. Prevedevamo che in breve sarebbe arrivato da noi».  A pochi giorni da quella riunione la terapia intensiva del Maggiore si è trovata nel pieno dell’emergenza, a fronteggiare una situazione che, sebbene prevista, ha messo a dura prova, sotto il profilo fisico ma soprattutto psicologico, tutto il personale. Oggi, a una decina di giorni dal ritorno alla “normalità”, senza più alcun paziente Covid positivo ricoverato nella struttura, a volgere lo sguardo a quel passato che pur recente sembra lontanissimo, è il professor Francesco Della Corte, direttore della struttura complessa di Rianimazione del Maggiore.     «Dai primi di marzo al 22 maggio abbiamo trattato 90 pazienti. In Piemonte siamo la rianimazione che ha ricoverato il maggior numero di pazienti». Una battaglia, quella contro il virus, che ha comportato una vera e propria “rivoluzione” nell’organizzazione della struttura e nel lavoro. Occupati i 16 posti letto della rianimazione generale «quando ci siamo accorti che il numero continuava a crescere, e quindi avevamo bisogno più posti – dice Della Corte - abbiamo allestito un corridoio esterno alla rianimazione e in quel momento abbiamo raggiunto il massimo dei posti, 29». «Fortunatamente avendo preceduto la comparsa dei problemi siamo riusciti a non trovarci mai in una condizione, pur di superlavoro, di sofferenza tale da dover mandare pazienti altrove». E fin qui è l’asettico aspetto “numerico” dell’emergenza Covid, tutta un’altra cosa quello “psicologico”. «Il primo periodo (le prime due settimane, ndr), con l’arrivo di pazienti in gravi condizioni e con una mortalità alta, è stato psicologicamente pesante, così come pesante è stata la situazione dal punto di vista lavorativo per le condizioni in cui si operava. Nessun paziente all’interno dell’ospedale è stato lasciato senza terapia, nessuno è stato lasciato solo. E’ stato un percorso che è passato senza tempo perché si è persa la cognizione del tempo. Un periodo “sospeso” in cui è cambiata la nostra vita. Malattia nuova, pericolo di contagio, rischio di contagio ai familiari, la città spettrale…è stato un mondo diverso Tutti noi abbiamo avuto una sofferenza ma anche valori positivi che ci hanno sostenuto.  C’è stata una dedizione del personale veramente commovente, così come è stato eccezionale il supporto che abbiamo ricevuto da tutti, le gare di solidarietà dall’acquisto di attrezzature fino al ristorante che ogni giorno ci portava i pasti. Queste sono le cose belle che hanno funzionato».  

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