Dall’8 marzo, quando Novara e provincia sono state dichiarate “zona rossa”, fino alla metà dello stesso mese, i telefoni dei vari centri antiviolenza sono rimasti pressoché silenziosi. Poi qualche sporadica telefonata, spesso interrotta per l’impossibilità di parlare dovuta alla forzata convivenza tra le mura domestiche; ma poi da aprile e maggio tutto, purtroppo, è tonato alla “normalità”. Tra gli “effetti collaterali” del Covid dunque anche violenze fisiche e psicologiche non denunciate nell’immediatezza, per l’oggettiva impossibilità di movimenti, ma anche per l’impossibilità, o il timore, di recarsi al pronto soccorso.
«Dal 7 al 14 marzo – ha riferito Elia Impaloni di Liberazione e Speranza – solo 4 telefonate riferite a casi nuovi; poi sono riprese, dalla metà del mese fino al 20 maggio: in tutto 21 nuove richieste di aiuto e 12 accompagnamenti pregressi».
Medesima situazione quella fotografata dal centro Aied. «Dal 9 marzo ad oggi sono arrivate richieste di aiuto da parte di 10 donne; in massima parte si tratta di violenze fisiche e psicologiche».
Sul versante delle forze dell’ordine, per quanto riguarda la Questura, si è registrata una notevole diminuzione delle denunce per casi di violenza di genere nel primo mese di lockdown (a marzo una sola, via mail); quindi una ripresa ad aprile e maggio, con l’allentamento delle restrizioni, con numeri in linea con quelli dell’anno scorso. Una situazione che potrebbe trovare una spiegazione proprio nella convivenza forzata, e quindi minor libertà di azione e di movimento.
«Era evidente che il lockdown avesse bloccato le denunce – ha sottolineato Milù Allegra (Pd) – Visto che alla base c’è un tema educativo, sollecito il Comune ad intervenire con progetti, interventi e incontri a partire già dalla scuola materna. Dobbiamo lavorare su tutti gli ordini di scuola».