Al termine di un lungo iter giudiziario, partito nel 2017 per fatti avvenuti due anni prima, e fatto di una lunga serie di rinvii per problemi processuali, notifiche non corrette, pandemia, scioperi e trasferimenti di magistrati, eccezioni preliminari, ieri pomeriggio (lunedì) il pm ha chiesto tre condanne al processo per i presunti maltrattamenti ai disabili ospitati a Villa Varzi di Galliate, vicenda scoppiata nell’autunno del 2015 quando i carabinieri installarono delle telecamere all’interno della struttura e rilevarono dei comportamenti sospetti: 2 anni e 6 mesi di reclusione sono stati chiesti per l’operatore socio sanitario «spiato» la sera del 20 ottobre e arrestato in flagranza mentre placcava un cinquantenne con problemi neuro-psichiatrici; 2 anni di reclusione per altre due colleghe indagate qualche settimana dopo. La sentenza sarà pronunciata a marzo dopo l’intervento delle difese degli imputati. Contro di loro si sono costituite parte civile le famiglie di due degli ospiti.
Al centro del processo di un caso rimasto impigliato a lungo nelle maglie della giustizia, che ha ad oggetto fatti piuttosto gravi, se provati. Per la procura di Novara si era andati «oltre»: a Villa Varzi c’erano comportamenti degli operatori giudicati eccessivi, al di fuori di qualsiasi protocollo di intervento. La segnalazione era arrivata da alcuni ex collaboratori del centro galliatese: «Alcuni operatori maltrattano i disabili», aveva denunciato un’addetta alle pulizie, inizialmente in maniera anonima. Poi erano stati anche forniti nomi e cognomi di due donne che, secondo l’esposto, erano solite alzare le mani e sottoporre gli ospiti, tutti con gravi problemi psichici, a umiliazioni e aggressioni fisiche, schiaffi, calci, strattonamenti, spinte violente. Ecco perché i carabinieri avevano installato delle telecamere e quel 20 ottobre avevano fatto irruzione nella struttura dopo aver visto ai monitor che un inserviente, l’unico uomo fra gli indagati, placcava in maniera violenta uno dei disabili. Un mese dopo la svolta con altri arresti.
Gli imputati hanno sempre respinto gli addebiti e anche al processo hanno spiegato le scene riprese dalle telecamere come modalità di intervento per «contenere» alcuni ospiti della struttura, o per far sentire il contatto e la vicinanza.