Prima, quando vivano sotto lo stesso tetto, insulti, minacce e vessazioni varie; poi, quando lei aveva deciso di lasciarlo e tornare dalla madre, erano iniziati messaggi e appostamenti. Così almeno aveva denunciato la donna che alla fine non aveva più retto a quella situazione e lo aveva denunciato. L’uomo, trentenne è finito a processo con le accuse di maltrattamenti, stalking e lesioni, ed è stato condannato alla pena di 2 anni e 2 mesi.
Una convivenza turbolenta quella della giovane coppia, complicata anche dal fatto che lui in quel periodo faceva uso di sostanze stupefacenti e che spesso non solo la obbligava ad accompagnarlo quando si ricava a procurarsi la droga ma le chiedeva anche denaro per acquistarla.
In casa, stando a quanto aveva raccontato e denunciato la giovane, insulti e minacce – “ti ammazzo” le ripeteva spesso – e poi le botte: sberle e graffi sul volto ma anche pugni come quando l’aveva colpita al volto mentre erano in auto o quando l’aveva schiaffeggiata mentre facevano la spesa al supermercato.
Alla fine, dopo qualche mese, lo aveva lasciato e, per paura di restare in casa da sola, era tornata a vivere con la madre. Da quel momento, sempre stando al racconto di lei, lui aveva iniziato a perseguitarla con telefonate, messaggi e appostamenti sotto casa riuscendo in qualche occasione a metterle ancora le mani addosso, a colpirla con calci e pugni al volto e a un braccio; quella volta lei aveva dovuto ricorrere alle cure dei medici che l’avevano giudicata guaribile in una decina di giorni.