«Mi dicevano che andava tutto bene, invece mio papà era in isolamento»

«Tutto è cominciato a fine febbraio quando, per tre giorni consecutivi, ho chiamato insistentemente mio padre sul cellulare senza ricevere mai risposta. Al quarto giorno ho telefonato in struttura e mi hanno detto che era tutto posto e che non rispondeva solo perché il cellulare si era rotto. Il giorno seguente ho richiamato e mi hanno detto che da due giorni dal terzo piano era stato spostato in isolamento al primo perché aveva dei sintomi da coronavirus».

Fabrizio Bonda, figlio di un ospite della casa di riposo De Pagave, racconta l’incubo che ha vissuto negli ultimi tre mesi.

«Come hanno potuto dirmi che andava tutto bene quando invece non era così? – prosegue Bonda – Inoltre continuavo a ricevere notizie contrastanti dagli infermieri, chi mi raccontava che stava bene, altri il contrario; addirittura un giorno mi hanno detto che si erano confusi e avevano sbagliato persona».

 

 

Dopo tre settimane al primo piano e il primo tampone negativo, al secondo test, quello della scorsa settimana, il paziente è risultato positivo ed stato rimandato in isolamento dove si trova tutt’ora, ma è asintomatico e sta abbastanza bene.

«Mia sorella e io abbiamo chiesto di poter fare delle videochiamate con nostro padre – continua Bonda – ma ci hanno risposto che il tablet della struttura non funzionava. Ma non è finita. Da quando è stato riportato al primo piano, la colazione viene servita alle 10, il tè del pomeriggio è scomparso perché, a detta del personale, non è previsto e il menù dei pasti, solitamente scelto dagli ospiti, viene invece imposto. Non c’è un servizio continuativo e l’igiene dei pazienti è lasciato al caso. Capisco le difficoltà del momento, però in questi tre mesi non ho mai ricevuto una telefonata, ho sempre dovuto chiamare io. Questo non è ammissibile, la retta mensile continua a essere pagata a fronte di un servizio che, invece, non viene garantito».

In settimana Bonda ha contatto Paolo Cortese, dallo scorso 16 aprile nominato dal Comune direttore ad interim: «È stato l’unico a rendersi disponibile e a preoccuparsi della situazione – dice ancora – mi ha spiegato che sono stati colti di sorpresa, che hanno numerose difficoltà ma che si sarebbe informato sulle criticità. Grazie a lui nella giornata di ieri sono riuscito a sentire il papà con una videochiamata. Ora che c’è lui mi sento più tranquillo».

Intanto nella giornata di ieri sono arrivati gli esiti dei tamponi eseguiti sul personale (leggi qui): su 45 ne sono giunti una quarantina e solo uno ha dato positivo. «Mi spiace molto per il dipendente positivo, tra l’altro assolutamente asintomatico – commenta Cortese – ma la negatività ai test sugli altri operatori è stata per noi un’ottima notizia».


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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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«Mi dicevano che andava tutto bene, invece mio papà era in isolamento»

«Tutto è cominciato a fine febbraio quando, per tre giorni consecutivi, ho chiamato insistentemente mio padre sul cellulare senza ricevere mai risposta. Al quarto giorno ho telefonato in struttura e mi hanno detto che era tutto posto e che non rispondeva solo perché il cellulare si era rotto. Il giorno seguente ho richiamato e mi hanno detto che da due giorni dal terzo piano era stato spostato in isolamento al primo perché aveva dei sintomi da coronavirus».

Fabrizio Bonda, figlio di un ospite della casa di riposo De Pagave, racconta l’incubo che ha vissuto negli ultimi tre mesi.

«Come hanno potuto dirmi che andava tutto bene quando invece non era così? – prosegue Bonda – Inoltre continuavo a ricevere notizie contrastanti dagli infermieri, chi mi raccontava che stava bene, altri il contrario; addirittura un giorno mi hanno detto che si erano confusi e avevano sbagliato persona».

 

 

Dopo tre settimane al primo piano e il primo tampone negativo, al secondo test, quello della scorsa settimana, il paziente è risultato positivo ed stato rimandato in isolamento dove si trova tutt’ora, ma è asintomatico e sta abbastanza bene.

«Mia sorella e io abbiamo chiesto di poter fare delle videochiamate con nostro padre – continua Bonda – ma ci hanno risposto che il tablet della struttura non funzionava. Ma non è finita. Da quando è stato riportato al primo piano, la colazione viene servita alle 10, il tè del pomeriggio è scomparso perché, a detta del personale, non è previsto e il menù dei pasti, solitamente scelto dagli ospiti, viene invece imposto. Non c’è un servizio continuativo e l’igiene dei pazienti è lasciato al caso. Capisco le difficoltà del momento, però in questi tre mesi non ho mai ricevuto una telefonata, ho sempre dovuto chiamare io. Questo non è ammissibile, la retta mensile continua a essere pagata a fronte di un servizio che, invece, non viene garantito».

In settimana Bonda ha contatto Paolo Cortese, dallo scorso 16 aprile nominato dal Comune direttore ad interim: «È stato l’unico a rendersi disponibile e a preoccuparsi della situazione – dice ancora – mi ha spiegato che sono stati colti di sorpresa, che hanno numerose difficoltà ma che si sarebbe informato sulle criticità. Grazie a lui nella giornata di ieri sono riuscito a sentire il papà con una videochiamata. Ora che c’è lui mi sento più tranquillo».

Intanto nella giornata di ieri sono arrivati gli esiti dei tamponi eseguiti sul personale (leggi qui): su 45 ne sono giunti una quarantina e solo uno ha dato positivo. «Mi spiace molto per il dipendente positivo, tra l’altro assolutamente asintomatico – commenta Cortese – ma la negatività ai test sugli altri operatori è stata per noi un’ottima notizia».


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