«Mia mamma morta in Rsa da giorni. Non so ancora la causa»

«E’ da una settimana intera che ogni giorno chiedo la cartella clinica, sono stato anche in struttura per sperare di avere notizie, ma mi è stato detto che ci vuole del tempo. Fatto sta che dopo una settimana non so ancora la causa per cui mia madre è morta». Sono le parole di un novarese che da giorni cerca di poter avere informazioni “dovute”: lo scorso 10 aprile la madre, classe 1931, ospite alla Rsa San Francesco di Viale Roma 34, è morta. Il figlio si è così rivolto al primo cittadino della città, alla struttura novarese e in generale a tutta la sanità.

 

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«Mia mamma, essendo affetta da demenza senile, riesce a riconoscere solo i familiari più stretti come figlio, nuora e nipoti ma non ha alcun altro tipo di riferimento cognitivo. È comunque una donna molto volitiva e forte fisicamente, tanto da contribuire attivamente all’aiuto delle amiche all’interno della Casa di cura stessa. A causa dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, l’ultima volta che ho avuto la possibilità di incontrarla è stato venerdì 6 marzo 2020 quando l’accesso alla struttura era ancora consentito nella misura di un solo visitatore per ospite, previa misurazione della temperatura all’ingresso. Da quella data, per decreto ministeriale, è stato vietato, e ritengo, giustamente, l’accesso alla struttura a tutti i parenti» racconta il figlio.

 

Come successo in altre Rsa, i famigliari da allora hanno ricevuto notizie tramite videochiamate e fotografie.

Mercoledì 1 aprile la telefonata: la signora Giulia era stata isolata a causa di febbre alta: «Alla domanda se fosse stato fatto il tampone per accertare l’eventualità di un’infezione di Covid-19, la risposta è stata negativa. Da allora ho quotidianamente comunicato con la struttura che mi aggiornava sul livello dello stato febbrile e sul fatto che, data la bassa saturazione, le veniva somministrato ossigeno. Nonostante l’evidente criticità della situazione, i miei continui solleciti circa la necessità di effettuare un tampone si sono sempre dimostrati inutili e inconclusivi», prosegue il figlio.

Martedì 7 aprile nuova telefonata: la caposala comunicava un peggioramento della situazione, con febbre a 39 gradi e convulsioni con conseguente decisione di contattare il 118 per un ricovero. Il ricovero però non c’è stato: «Lo stesso medico del 118 mi comunicò che sconsigliava il ricovero visto lo stato emotivo e patologico della mamma e che avrebbe riabbassato la febbre variando la terapia. Anche in questo caso, alla mia domanda se la patologia fosse Covid-19, la risposta fu incerta poiché, nonostante mia mamma presentasse sintomi riconducibili, non era ancora stato fatto il tampone. La situazione è rimasta stazionaria, «nella sua gravità», fino al 10 aprile, quando la signora Giulia è mancata.

 

«Sono nella più completa incertezza circa la patologia di cui è affetta mia mamma. Considero inaccettabile una simile mancanza di risposte, soprattutto tenendo in considerazione che si tratta di un soggetto particolarmente vulnerabile data l’età e, ancor di più, considerando che si trova in una struttura in cui convivono centinaia di altre persone anziane chiaramente non immuni ed altrettanto vulnerabili; – dice il figlio – la situazione che con la presente tengo a segnalare pare, peraltro, manifestamente in contrasto con le direttive imposte dallo stesso Ministero della Salute in data 3 aprile 2020. Con la circolare cui si fa riferimento, il Ministero non solo sancisce la necessaria tempestività dell’esecuzione dei test diagnostici ai casi sintomatici/paucisintomatici ma stabilisce anche dei criteri di priorità da applicare nell’esecuzione degli stessi, al fine di contemperare le esigenze di tutela della salute pubblica e contenimento con gli inevitabili ritardi/carenze/sovraccarichi dovuti alla situazione emergenziale. In questo senso, è riservata priorità a tutti i casi di infezione respiratoria riscontrati in Rsa, quale risulta essere la struttura in cui si trovava mia mamma alla quale, ciononostante, continua a non essere stato eseguito alcun tipo di test diagnostico dopo dieci giorni dalla comparsa dei sintomi».

Non sta a me definire le responsabilità del caso e non sono neppure certo circa l’appropriatezza della sede cui mi rivolgo, ma ritengo che sia più che opportuno e doveroso segnalare urgentemente una simile situazione (che peraltro so per certo non essere unica nel suo genere, anzi) nella speranza che “qualcuno” si mobiliti affinché i test diagnostici vengano effettuati con tempestività per salvaguardare non soltanto la salute dei soggetti sintomatici vulnerabili che versano nell’incertezza circa la patologia di cui sono affetti, ma anche per garantire quella di tutti gli altri.

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«E’ da una settimana intera che ogni giorno chiedo la cartella clinica, sono stato anche in struttura per sperare di avere notizie, ma mi è stato detto che ci vuole del tempo. Fatto sta che dopo una settimana non so ancora la causa per cui mia madre è morta». Sono le parole di un novarese che da giorni cerca di poter avere informazioni “dovute”: lo scorso 10 aprile la madre, classe 1931, ospite alla Rsa San Francesco di Viale Roma 34, è morta. Il figlio si è così rivolto al primo cittadino della città, alla struttura novarese e in generale a tutta la sanità.   [the_ad id="62649"]   «Mia mamma, essendo affetta da demenza senile, riesce a riconoscere solo i familiari più stretti come figlio, nuora e nipoti ma non ha alcun altro tipo di riferimento cognitivo. È comunque una donna molto volitiva e forte fisicamente, tanto da contribuire attivamente all’aiuto delle amiche all’interno della Casa di cura stessa. A causa dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, l’ultima volta che ho avuto la possibilità di incontrarla è stato venerdì 6 marzo 2020 quando l’accesso alla struttura era ancora consentito nella misura di un solo visitatore per ospite, previa misurazione della temperatura all’ingresso. Da quella data, per decreto ministeriale, è stato vietato, e ritengo, giustamente, l’accesso alla struttura a tutti i parenti» racconta il figlio.   Come successo in altre Rsa, i famigliari da allora hanno ricevuto notizie tramite videochiamate e fotografie. Mercoledì 1 aprile la telefonata: la signora Giulia era stata isolata a causa di febbre alta: «Alla domanda se fosse stato fatto il tampone per accertare l’eventualità di un’infezione di Covid-19, la risposta è stata negativa. Da allora ho quotidianamente comunicato con la struttura che mi aggiornava sul livello dello stato febbrile e sul fatto che, data la bassa saturazione, le veniva somministrato ossigeno. Nonostante l’evidente criticità della situazione, i miei continui solleciti circa la necessità di effettuare un tampone si sono sempre dimostrati inutili e inconclusivi», prosegue il figlio. Martedì 7 aprile nuova telefonata: la caposala comunicava un peggioramento della situazione, con febbre a 39 gradi e convulsioni con conseguente decisione di contattare il 118 per un ricovero. Il ricovero però non c’è stato: «Lo stesso medico del 118 mi comunicò che sconsigliava il ricovero visto lo stato emotivo e patologico della mamma e che avrebbe riabbassato la febbre variando la terapia. Anche in questo caso, alla mia domanda se la patologia fosse Covid-19, la risposta fu incerta poiché, nonostante mia mamma presentasse sintomi riconducibili, non era ancora stato fatto il tampone. La situazione è rimasta stazionaria, «nella sua gravità», fino al 10 aprile, quando la signora Giulia è mancata.   «Sono nella più completa incertezza circa la patologia di cui è affetta mia mamma. Considero inaccettabile una simile mancanza di risposte, soprattutto tenendo in considerazione che si tratta di un soggetto particolarmente vulnerabile data l’età e, ancor di più, considerando che si trova in una struttura in cui convivono centinaia di altre persone anziane chiaramente non immuni ed altrettanto vulnerabili; - dice il figlio - la situazione che con la presente tengo a segnalare pare, peraltro, manifestamente in contrasto con le direttive imposte dallo stesso Ministero della Salute in data 3 aprile 2020. Con la circolare cui si fa riferimento, il Ministero non solo sancisce la necessaria tempestività dell’esecuzione dei test diagnostici ai casi sintomatici/paucisintomatici ma stabilisce anche dei criteri di priorità da applicare nell’esecuzione degli stessi, al fine di contemperare le esigenze di tutela della salute pubblica e contenimento con gli inevitabili ritardi/carenze/sovraccarichi dovuti alla situazione emergenziale. In questo senso, è riservata priorità a tutti i casi di infezione respiratoria riscontrati in Rsa, quale risulta essere la struttura in cui si trovava mia mamma alla quale, ciononostante, continua a non essere stato eseguito alcun tipo di test diagnostico dopo dieci giorni dalla comparsa dei sintomi». Non sta a me definire le responsabilità del caso e non sono neppure certo circa l’appropriatezza della sede cui mi rivolgo, ma ritengo che sia più che opportuno e doveroso segnalare urgentemente una simile situazione (che peraltro so per certo non essere unica nel suo genere, anzi) nella speranza che “qualcuno” si mobiliti affinché i test diagnostici vengano effettuati con tempestività per salvaguardare non soltanto la salute dei soggetti sintomatici vulnerabili che versano nell’incertezza circa la patologia di cui sono affetti, ma anche per garantire quella di tutti gli altri.

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