Minola saluta il Maggiore: «Una nuova sfida per mettere a frutto l’esperienza di questi anni». Mario Minola, direttore generale dell’Azienda ospedaliero-universitaria “Maggiore della Carità” di Novara, lascia – com’è ormai noto – l’incarico per diventare responsabile della sanità e del welfare del Piemonte. Nominato nei giorni scorsi dalla Giunta Cirio, prenderà servizio da lunedì prossimo.
Inizialmente un po’ restio, ma alla fine quasi commosso, ha accettato di incontrare questa mattina i giornalisti perché «in questi dieci anni il rapporto con i media è sempre stato improntato a una reciproca fiducia e a una ricerca continua della trasparenza, dando il massimo della visibilità per tutto quello che avviane all’interno del mondo sanitario».
Minola ha parlato di «giorno un po’ triste, perché questi dieci anni rappresentano un importante capitolo della mia vita professionale. Ho cercato sempre – ha aggiunto – di portare avanti un discorso di continuo adeguamento della nostra struttura a quelle che sono le esigenze e le richieste che deve fornire un ospedale universitario come punto di riferimento di tutto il Piemonte Orientale. Un’azienda di alta specializzazione ed elevata tecnologia che nella nostra regione è di fatto seconda solo alla “Città della salute” di Torino».
L’ospedale di Novara, una struttura le cui origini – seppure in situazioni storiche diverse – risalgono a oltre mille anni fa; e che per garantirne la sopravvivenza «credo sia necessario riaggiornarla, rivederla, tenerla il più possibile adeguata». La soddisfazione maggiore? «La conclusione lo scorso anno del processo di far partire la gara per il nuovo ospedale. Quanto accaduto nell’ultimo anno, dove ci siamo trovati di fronte a una situazione imprevedibile e inaspettata, ci ha fato ancora più meditare sull’importanza di avere una nuova struttura per fronteggiare una situazione epidemica. Un nuovo ospedale modulabile e flessibile, che dovrà assolvere quelle che sono le funzioni di un Hub di “quadrante”».
Mai come negli ultimi anni ha finito per concretizzarsi quello che è l’acronimo dell’azienda – Aou – ma «come Azienda ospedaliero-universitaria, ma non dobbiamo fermarci, dobbiamo mantenere alta l’attenzione viste le difficoltà incontrate nel garantire le prestazioni in presenza della pandemia. Ci sono le condizioni per portare avanti progetti multidisciplinari e multiprofessionali: il nuovo ospedale non sarà più a padiglioni separati, ma tutti dovranno imparare a collaborare, non per specialità ma per intensità di cure».
A livello più personale «ho lavorato con cinque presidenti di Regione, quattro rettori e tre sindaci. Con questo nuovo incarico spero di mettere a frutto l’esperienza di questi anni. Che cosa mi preoccupa? Sarà una nuova sfida dove dovrà cambiare prospettiva: da un’ottica municipale e provinciale bisognerà passare a un discorso di carattere regionale, sia in ambito della sanità che del welfare. Una sfida importante, perché l’integrazione sanitaria con quella socio-assistenziale è fondamentale. Dovrò analizzare tutta la situazione al livello regionale per cercare di capire quelli che sono i problemi e le possibili soluzioni. Mi metterò inizialmente in una posizione di ascolto attivo, cercando di dare delle risposte su tutto. Nessun commento o giudizio su chi mi ha preceduto. E’ importante tener conto che ogni decisione è figlia del contesto in cui viene adottata. Importante tenere bene i piedi per terra e cercando di dare delle risposte tutti i giorni sui problemi che abbiamo sul tappeto, cominciando dalla pandemia. A me preoccupa il fatto che in questo periodo abbiamo dovuto lasciare da parte tutto il resto e questo ha generato dei problemi, che devono essere affrontati con una nuova “vision”. Non sarà facile riportare il sistema in maniera consona a quelle che sono le richie, ma il nostro compito sarà quello di rimettere in equilibrio il sistema, perché sarà importante, a desso con il continuo rispetto delle norme comportamentali e le vaccinazioni dovrammo nel giro di qualche mese avere degli importanti risultati. A quel punto ci sarà da affrontare quello che è il problema, rimettere il nostro sistema sanitario e anche socio-sanitario in grado di funzionare magari in maniera diversa, tenendo conto dalla lezione che abbiamo imparato da questa epidemia. La luce si intravede e credo che nella nostra regione ci siano risorse e professionalità, ma la ripartenza economica e sociale dipenda molto dall’organizzazione sanitaria. E’ una grande responsabilità, ma con impegno e la collaborazione di tutti cercheremo di intercettare i problemi del territorio e risolverli».