Neonata morì dopo il parto in casa. Per l’accusa è omicidio, chiesti 25 anni per la mamma

Una lunga requisitoria durata poco meno di tre ore nel corso della quale il pubblico ministero Ciro Caramore ha ripercorso tutta la vicenda ed analizzato, punto a punto, tutti gli elementi sui quali si fonda l’accusa e che ha portato il sostituto a formulare la richiesta di condanna alla pena finale di 25 anni, per la giovane donna novarese, A.R. 28 anni, chiamata a rispondere delle accuse di omicidio volontario aggravato e di calunnia.

 

 

La vicenda risale alla notte tra il 31 gennaio e il primo febbraio del 2016 quando la giovane, che abitava con i genitori, partorì una bimba, tutto da sola, nella sua stanza, senza chiedere l’aiuto di nessuno.

Per l’accusa, alla neonata, morta per cause naturali, erano venute a mancare cure e assistenza dopo il parto, sostanzialmente era stata abbandonata sul letto dove era stata partorita.

La giovane donna ha sempre sostenuto di non sapere di essere incinta, nulla sapevano i suoi genitori e nulla sapeva l’amica alla quale aveva riferito di «essere preoccupata perché non aveva più il ciclo ma – aveva detto  l’amica davanti alla Corte – non mi ha mai detto di essere incinta; anzi, mi aveva detto che era andata a fare gli esami, e anche il test di gravidanza, e che in entrambi i casi il risultato era stato negativo».

Ma per l’accusa la giovane sapeva di essere incinta e nel suo comportamento coglie profili omissivi che vanno dal non aver chiesto aiuto durante il travaglio, al non aver messo in atto manovre per aiutare la bimba a respirare dopo la nascita, dal non aver chiamato i soccorsi, all’averla abbandonata sotto le coperte.

«Lucida e consapevole» ha sostenuto il pubblico ministero.

Per la difesa, con l’avvocato Augusto Margheritis, «pur essendo capace di intendere e volere, come ha riferito il perito, aveva altri disturbi che non le hanno permesso di rappresentarsi la realtà che fosse incinta. Tutto l’iter della gravidanza è stato vissuto come se non lo fosse. Non c’è alcuna omissione che lei ha commesso; quelle contestate dall’accusa prima della nascita non hanno rilevanza perché l’omicidio che le stanno contestando è un reato che può verificarsi solo dal momento in cui è nata la bambina; e non hanno rilevanza neppure quelle successive al parto, la mancanza della richiesta di soccorsi – il medico legale ha riferito che la bimba è vissuta solo qualche istante – e le manovre per farla respirare».

Ed ha concluso chiedendo in principalità l’assoluzione, anche per la calunnia, in subordine «Se proprio vogliamo condannarla chiedo la derubricazione del reato da omicidio in abbandono di minore, o in seconda battuta in infanticidio, con le attenuanti generiche prevalenti e il minimo della pena».

Sentenza a luglio.

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Neonata morì dopo il parto in casa. Per l’accusa è omicidio, chiesti 25 anni per la mamma

Una lunga requisitoria durata poco meno di tre ore nel corso della quale il pubblico ministero Ciro Caramore ha ripercorso tutta la vicenda ed analizzato, punto a punto, tutti gli elementi sui quali si fonda l’accusa e che ha portato il sostituto a formulare la richiesta di condanna alla pena finale di 25 anni, per la giovane donna novarese, A.R. 28 anni, chiamata a rispondere delle accuse di omicidio volontario aggravato e di calunnia.

 

 

La vicenda risale alla notte tra il 31 gennaio e il primo febbraio del 2016 quando la giovane, che abitava con i genitori, partorì una bimba, tutto da sola, nella sua stanza, senza chiedere l’aiuto di nessuno.

Per l’accusa, alla neonata, morta per cause naturali, erano venute a mancare cure e assistenza dopo il parto, sostanzialmente era stata abbandonata sul letto dove era stata partorita.

La giovane donna ha sempre sostenuto di non sapere di essere incinta, nulla sapevano i suoi genitori e nulla sapeva l’amica alla quale aveva riferito di «essere preoccupata perché non aveva più il ciclo ma – aveva detto  l’amica davanti alla Corte – non mi ha mai detto di essere incinta; anzi, mi aveva detto che era andata a fare gli esami, e anche il test di gravidanza, e che in entrambi i casi il risultato era stato negativo».

Ma per l’accusa la giovane sapeva di essere incinta e nel suo comportamento coglie profili omissivi che vanno dal non aver chiesto aiuto durante il travaglio, al non aver messo in atto manovre per aiutare la bimba a respirare dopo la nascita, dal non aver chiamato i soccorsi, all’averla abbandonata sotto le coperte.

«Lucida e consapevole» ha sostenuto il pubblico ministero.

Per la difesa, con l’avvocato Augusto Margheritis, «pur essendo capace di intendere e volere, come ha riferito il perito, aveva altri disturbi che non le hanno permesso di rappresentarsi la realtà che fosse incinta. Tutto l’iter della gravidanza è stato vissuto come se non lo fosse. Non c’è alcuna omissione che lei ha commesso; quelle contestate dall’accusa prima della nascita non hanno rilevanza perché l’omicidio che le stanno contestando è un reato che può verificarsi solo dal momento in cui è nata la bambina; e non hanno rilevanza neppure quelle successive al parto, la mancanza della richiesta di soccorsi – il medico legale ha riferito che la bimba è vissuta solo qualche istante – e le manovre per farla respirare».

Ed ha concluso chiedendo in principalità l’assoluzione, anche per la calunnia, in subordine «Se proprio vogliamo condannarla chiedo la derubricazione del reato da omicidio in abbandono di minore, o in seconda battuta in infanticidio, con le attenuanti generiche prevalenti e il minimo della pena».

Sentenza a luglio.

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