Sette giorni dopo quello che era stato definito il “corteo della vergogna”, che aveva visto i rappresentanti novaresi “No Green pass” traverstirsi da deportati nei legar nazisti con tranto di pettorina a strisce grigio-bianche e unita da una corda per simulare il filo spinato, un centinaio di manifestanti si sono ritrovati ancora una volta nella serata di sabato per urlare la loro rabbia contro il “passaporto verde”.
Non c’é Giusy Pace, l’infermiara-sindacalista fra i leader del movimento, attualmente sospesa dall’Aou di Novara e la cui posizione è oggetto di un’indagine interna da parte della struttura ospedaliera, ma il suo nome è stato a lungo invocato dai presenti: «Siamo tutti con lei» è stato uno dei slogan più gettonati di un repertorio ormai ripetitivo. Tutto il gruppo prende le sue difese: «Ha sempre lavorato con passione, ma in questi giorni è stata oggetto di un autentico linciaggio».
C’é invece Matteo Testa, l’infermiere “dissidente” che ha retto quasi da solo la scena per oltre due ore tra letture di poesie, citazioni varie (fra cui articoli della Costituzione e il celebre scritto di Piero Calamandrei), ricostruzioni dell’intera vicenda pandemico-sanitaria («I morti di Covid sono solo tre mila. Il “fuffa pass” è uno strumento del Ministero della Finanza, non della Sanità. Quello che vogliono inocularci non è un vaccino ma un rierogenico sperimentale») e invocazioni alla libertà.
Fortunatamente non è stato registrato nessun incidente. Lo stesso Testa aveva all’inizio chiesto il «rispetto delle regole» concordate con la Questura, anche quasi nessuno ha indossato la mascherina. Solo un paio di battibecchi con qualche passante e un paio di rappresentanti dei media, accusati – ancora una volta – di «non raccontare la verità e di essere asserviti al potere». Una mano tesa, non proprio scuse, è stata invece tesa alla comunità ebraica: «Ci piacerebbe incontrare qualcuno di loro come atto di pace». Chissa se l’invito sarà raccolto. Per ora di certo è che che i “No Green pass” si ritroveranno nuovamente sabato prossimo. E’ quello che ha promesso Testa alla fine del sit-in, di fronte a una platea quasi dimezzata, forse anche a causa di una temperatura repentinamente scesa. Non sono più le serate di luglio; e questo lo hanno cominciato a capire gran parte degli stessi manifestanti.