I “No green pass” sono tornati in piazza. Non più il corteo, dopo i fatti dello scorso 30 ottobre, ma un altro sit-in ospitato in piazza Gramsci, alle spalle di Palazzo Cabrino. L’orario è stato anticipato (alle 16), qualcuno ha portato gli strumenti per diffondere della musica, un altro una tuba per suonare dal vivo. C’é chi distribuisce volantini, ma soprattutto c’é lei, Giusy Pace. Dopo l’assenza della scorsa settimana l’infermiera-sindacalista attualmente sospesa dal suo incarico – ma in queste occasioni si definisce presidente del’associazione Istanza diritti umani – è tornata ad arringare il suo popolo, per la verità non più di una settantina i presenti. Nessun passo indietro rispetto al fattaccio che ha portato Novara alla ribalta della cronaca. Anzi, ha inizialmente pronunciato una lunga autoarringa difensiva, ammettendo (per la prima volta in pubblico) «di non essere vaccinata», ma piuttosto «di essere stata trattata come un mostro. Io ho sempre difeso i diritti fondamentali dell’uomo, mettendoci la mia faccia, facendo un mestiere che ho avvertito come un’autentica vocazione. Invece mi hanno voluto dipingere come un mostro. Sono stata trattata come in piazzale Loreto».
Gli slogan e i bersagli sono stati i soliti, dai giornalisti dai lei definiti «il vero virus, altro che il Covid», colpevoli «di non raccontare la verità», al mondo della politica e della finanza, arrivando persino a citare (forse visto il nome della piazza) persino Antonio Gramsci, «anche lui un perseguitato». E tornando alla “sfilata” di due sabati fa, secondo Giusy Pace «è stata mistificata proprio dai media. Da parte nostra non c’era nessuna intenzione di offendere gli ebrei. Piuttosto, stiamo ancora attendendo una risposta alla lettera che abbiamo inviato alla comunità ebraica».
Con il cielo già buio e le prime gocce di pioggia è poi andata in scena una sorta di performance teatrale. Il “copione” – che per evitare equivoci e fraintendimenti era stato anticipato alla Questura – ha previsto che alcuni manifestanti venissero bendati e imbavagliati, per poi essere virtualmente legati all’interno di un simbolico recinto. Senza la possibilità di vedere e parlare prima, il contrario dopo essere stati “liberati” proprio da Giusy Pace.