«Novara, grazie di tutto, ma non vogliamo essere ospitati per sempre»

Il saluto di una cinquantina di profughi ucraini che, dopo aver soggiornato per cinque mesi nella nostra città, sono partiti questa mattina per Leopoli grazie al viaggio reso possibile dalla onlus ForLife. Cortese: «La vera emergenza è ora quella di “stabilizzare” chi rimane»

Nostalgia per la patria lontana forse, ma anche tanta dignità. Non voler essere considerati quasi un peso: «Dalle nostre parti – ha spiegato una donna – si dice che l’ospitalità deve durare tre giorni, oltre no…». Con questi sentimenti una cinquantina di ucraini, che avevano trovato rifugio a Novara per quasi cinque mesi, hanno deciso di ritornare nella loro terra, sfidando i pericoli di una guerra ancora in corso, anche se gran parte di loro abita nelle regioni occidentali del Paese, zone considerate ancora non toccate dal conflitto in corso.


Lo hanno fatto salendo questa mattina, giovedì 11 agosto, su un confortevole autobus (che contribuirà a mitigare le fatiche di un viaggio della durata prevista di 25 – 30 ore) messo a disposizione dalla onlus ForLife del professor Alessandro Carriero, l’organizzazione che fra l’altro si sta adoperando per finanziare anche i corsi di lingua italiana per tanti bambini e ragazzi ucraini che resteranno invece all’ombra della Cupola.


La mancanza della famiglia, dei parenti rimasti in Ucraina, è più forte di tutto. Sono questi i pochi commenti che qualcuno riesce a esprimere, grazie alla traduzione di padre Yuriy Ivanyuta, referente spirituale (e molto di più) della comunità ucraina novarese. Tanti di loro hanno trovato un rifugio nelle strutture messe a disposizione dal Comune (prima fra tutte l’albergo Parmigiano sino a giugno) e poi presso privati: «I bambini piccoli – ha aggiunto un’altra donna – devono andare all’asilo e le loro mamme imparare la lingua per poi trovarsi un lavoro. Nessuno pensa di rimanere ospite per sempre…». Davanti a un futuro pieno di incertezze, nonostante la gratitudine nei confronti dell’Italia per l’accoglienza, la scelta di ritornare a casa. Una “sconfitta” allora? Per Paolo Cortese, comandante della Polizia municipale e referente dell’amministrazione novarese per questo tipo di emergenza, «occorre che molti di loro abbiamo la possibilità di lavorare e affittare una casa. Cosa che nessuno ti può mettere a disposizione se ti trovi nelle condizioni di avere un permesso di soggiorno che scadrà il prossimo 4 marzo».


«Non parliamo di sconfitta per Novara – ha aggiunto – ma dobbiamo concentrarci sull’aspetto che non esiste più un’emergenza immediata. Adesso il problema è quello della stabilizzazione, forse il più difficile. Quelli che rimangono sono coloro che non possono tornare e per loro occorre studiare un’azione diversa, che comprenda il vero inserimento nella società, con un lavoro regolare e una casa. Il governo ha compiuto uno sforzo notevole per facilitare le procedure e l’Ufficio stranieri della nostra Questura ha lavorato tantissimo».

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Il saluto di una cinquantina di profughi ucraini che, dopo aver soggiornato per cinque mesi nella nostra città, sono partiti questa mattina per Leopoli grazie al viaggio reso possibile dalla onlus ForLife. Cortese: «La vera emergenza è ora quella di “stabilizzare” chi rimane»

Nostalgia per la patria lontana forse, ma anche tanta dignità. Non voler essere considerati quasi un peso: «Dalle nostre parti – ha spiegato una donna – si dice che l'ospitalità deve durare tre giorni, oltre no…». Con questi sentimenti una cinquantina di ucraini, che avevano trovato rifugio a Novara per quasi cinque mesi, hanno deciso di ritornare nella loro terra, sfidando i pericoli di una guerra ancora in corso, anche se gran parte di loro abita nelle regioni occidentali del Paese, zone considerate ancora non toccate dal conflitto in corso.


Lo hanno fatto salendo questa mattina, giovedì 11 agosto, su un confortevole autobus (che contribuirà a mitigare le fatiche di un viaggio della durata prevista di 25 – 30 ore) messo a disposizione dalla onlus ForLife del professor Alessandro Carriero, l'organizzazione che fra l'altro si sta adoperando per finanziare anche i corsi di lingua italiana per tanti bambini e ragazzi ucraini che resteranno invece all'ombra della Cupola.


La mancanza della famiglia, dei parenti rimasti in Ucraina, è più forte di tutto. Sono questi i pochi commenti che qualcuno riesce a esprimere, grazie alla traduzione di padre Yuriy Ivanyuta, referente spirituale (e molto di più) della comunità ucraina novarese. Tanti di loro hanno trovato un rifugio nelle strutture messe a disposizione dal Comune (prima fra tutte l'albergo Parmigiano sino a giugno) e poi presso privati: «I bambini piccoli – ha aggiunto un'altra donna – devono andare all'asilo e le loro mamme imparare la lingua per poi trovarsi un lavoro. Nessuno pensa di rimanere ospite per sempre…». Davanti a un futuro pieno di incertezze, nonostante la gratitudine nei confronti dell'Italia per l'accoglienza, la scelta di ritornare a casa. Una “sconfitta” allora? Per Paolo Cortese, comandante della Polizia municipale e referente dell'amministrazione novarese per questo tipo di emergenza, «occorre che molti di loro abbiamo la possibilità di lavorare e affittare una casa. Cosa che nessuno ti può mettere a disposizione se ti trovi nelle condizioni di avere un permesso di soggiorno che scadrà il prossimo 4 marzo».


«Non parliamo di sconfitta per Novara – ha aggiunto – ma dobbiamo concentrarci sull'aspetto che non esiste più un'emergenza immediata. Adesso il problema è quello della stabilizzazione, forse il più difficile. Quelli che rimangono sono coloro che non possono tornare e per loro occorre studiare un'azione diversa, che comprenda il vero inserimento nella società, con un lavoro regolare e una casa. Il governo ha compiuto uno sforzo notevole per facilitare le procedure e l'Ufficio stranieri della nostra Questura ha lavorato tantissimo».

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