Oleggio, guadagni illeciti dalla vendita di rame rubato: viaggiavano in Ferrari, una Testarossa e una Modena 360

La Cassazione ha confermato il sequestro di 1 milione di euro nei confronti di una coppia di italiani di etnia sinti

Tenore di vita elevato. Un po’ troppo elevato per cuna coppia che, almeno all’anagrafe, era ufficialmente senza redditi e lavoro. E invece, in base a quanto emerso dalle indagini della polizia risalenti allo scorso anno, possedeva diversi beni di lusso, fra cui anche due Ferrari, una Testarossa e una Modena 360: gli investigatori li ritengono provento di una redditizia attività di «ripulitura» di rame rubato in centrali elettriche e ditte dismesse, rivenduto ad aziende specializzate nel recupero di materiale ferroso, che l’uomo versava in parte anche nei conti della compagna.

Riciclaggio, quindi. E’ per questo reato che la Corte di Cassazione ha confermato il sequestro per equivalente da oltre 1 milione di euro nei confronti di una coppia di cittadini italiani di etnia sinti, residenti a Oleggio. Il ricorso della difesa è stato dichiarato «infondato»: il legale, per conto della donna, sosteneva che il denaro sul suo conto (41 mila euro), proveniente dal compagno, fosse di gran lunga inferiore a quanto oggetto del sequestro e non potesse ritenersi di provenienza illecita. Di diverso parere i giudici romani, secondo cui esiste una consapevolezza dell’indagata di concorrere nel riciclaggio di profitti derivanti da reati di furto di rame e dall’intestazione di beni di lusso, come due Ferrari, delle quali il suo convivente manteneva la disponibilità, a fronte di una totale assenza di redditi e di attività lavorativa in capo alla coppia.

Oltre a cinque auto sono stati loro tolti due conti corrente, un’abitazione di circa 200 metri quadrati e due terreni, di cui uno edificabile e l’altro a uso agricolo. Il sequestro è lo sviluppo di un’indagine iniziata due anni fa dalla polizia dopo un arresto in flagranza di tre ladri di rame, dopo un colpo notturno ai danni di una ditta di Casaleggio. Era poi emersa una vera e propria associazione per delinquere con base a San Pietro Mosezzo, con un capo e collaboratori, che rubava il materiale in centraline o in ditte, poi lo reimmetteva nel mercato ottenendo rilevanti guadagni. L’oleggese avrebbe ripulito il rame rubato, rendendolo in individuabile, per poi rivenderlo ad aziende di settore; la compagna, totalmente estranea ai furti, viene accusata solo di riciclaggio.

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