Tanta gente con i fazzoletti rossi dell’Anpi, della quale è stata sino all’ultimo orgogliosamente presidente onoraria della sezione provinciale di Novara, oltre a quelli dell’associazione Stella Alpina. E poi diversi sindaci del territorio, labari e gonfaloni. Ma soprattutto è stata la sua Oleggio, che oggi pomeriggio, sabato 7 maggio, ha voluto portare l’ultimo, commosso saluto a Costanza “Nini” Arbeja, staffetta partigiana e uno degli ultimi simboli della Resistenza, spentasi mercoledì a 95 anni.
Dal Municipio un corteo silenzioso si è mosso verso la parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, dove il parroco don Massimo Maggiora ha concelebrato la funzione religiosa. Nell’omelia, prendendo spunto da una pagina del Vangelo di Matteo sulla parabola delle dieci vergini, Costanza Arbeja è stata descritta come una persona che ha «avuto la capacità di farsi trovare pronta al momento della chiamata, ma anche che nel corso della sua vita è stata in grado di compiere una scelta importante, quando a soli 17 anni investì tutto nei valori in cui ha creduto, mettendosi in gioco».
Da qui l’accostamento al Vangelo. Per don Massimo «il modo con cui Costanza ha vissuto è stata la capacità di mantenere accesa la sua lampada, riuscendo anche a trasmettere quella passione a quelle giovani generazioni alle quali forse ora manca. Mantenendo insieme la passione per la Resistenza con la sua vita di fede, riuscendo a vivere e a coniugare questi suoi due ideali». Lei, come le vergini sagge, a differenza di quelle stolte, nel racconto di Marco, «aveva la scorta di olio per mantenere accesa la sua lampada. E ora che il momento per lei è arrivato «non ha più bisogno dell’olio per essere alimentata».
Fra i successivi interventi, particolarmente toccante quello della presidente dell’Anpi di Novara Michela Cella: «Costanza ha lottato per tutta la vita per la giustizia al fianco dei più deboli e con la sua presenza nelle scuole ha sempre incitato i giovani a studiare. Uno dei più grandi insegnamenti che ci lascia è quello che i ragazzi potessero davvero diventare dei presidi di giustizia e di libertà. Ora dovremo impegnarci di più per starle dietro, non con le parole ma con i fatti e l’impegno quotidiano, cercando di fare la nostra piccola parte per migliorare questo mondo». Infine, all’uscita del feretro dalla chiesa, le note di “Bella Ciao” e di “Valsesia” suonate da un violino, strumento nei confronti del quale ha sempre avuto una particolare ammirazione.