Sono passati ottanta anni da quando il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti. Di fronte alla Storia c’è chi, come noi, è chiamato a raccontarla. Ma c’è anche chi l’ha vissuta sulla propria pelle, nella polvere delle cascine, tra i rumori sordi dei bombardamenti, nell’attesa silenziosa del “passa Pippo” o nel gesto coraggioso di nascondere un partigiano sotto al letto.
Abbiamo provato ad ascoltare le voci di alcune donne trecatesi – tra le ultime testimoni dirette di quella stagione – per riportare alla luce storie che non devono andare perdute. Sono tutte storie di giovani donne che hanno fatto la Resistenza con quello che avevano: una bicicletta, una radio nascosta sotto una scala, una parola detta sottovoce. Le abbiamo ascoltate consapevoli del fatto che queste memorie sono preziose perché ci aiutano a ricostruire cosa è successo sul nostro territorio, ma soprattutto ci restituiscono la responsabilità di ascoltare e raccontare le ultime testimonianze dirette di quello che è accaduto in quel tempo. In queste righe non troverete i loro volti: hanno scelto che fosse la voce e non l’immagine a custodire i loro ricordi.
ELSA – CLASSE 1928 E IL “PASSA PIPPO”
C’è la storia di Elsa, che ci ha accolto nella sua cucina davanti a un caffè per raccontare la sua storia, quella di una ragazza costretta a scappare in campagna quando “passava Pippo”, il nome che gli abitanti di Trecate avevano dato agli aerei che sorvolavano il paese per bombardare Milano e le zone circostanti. Ha descritto quasi come se fossimo in una sera del 1943 il procedimento con cui «gli abitanti delle case e delle cascine coprivano le finestre con la carta blu per non far vedere agli aerei la luce e, quindi, diventare potenziali bersagli». Elsa ha raccontato che «a Trecate non passava soltanto “Pippo”, ma passava anche “la rogna”: così chiamavamo i militari tedeschi di stanza a Villa Cicogna e i loro aiutanti italiani in camicia nera».
La storia di Elsa è un crocevia di altre storie, come quella del marito Carlo internato in Germania e quella del fratello della mamma, Attilio, «che dirigeva la Resistenza a Sozzago». Le ricorda con una lucidità disarmante per chi, come chi scrive, quei racconti li ha letti soltanto sui libri. Nei ricordi di Elsa il 25 aprile 1945 a Trecate è l’immagine della piazza piena di persone riunite sotto il municipio per ascoltare i discorsi delle autorità cittadine, ma anche l’amarezza di vedere tra loro qualche persona con simpatie verso il regime appena caduto. Per lei, però, «la vera festa è stata il 1 maggio perché c’è stata una grande sfilata con le bandiere per tutte le strade, nessuna esclusa. Si ballava e si cantava un po’ bandiera rossa e un po’ bianco fiore». Tra le date che ricorda c’è quella del 2 giugno 1946 quando «non ho potuto votare perché avevo soltanto 18 anni e allora la maggiore età si raggiungeva a 21».
MARINA E GIANNINA – CLASSE 1920 E 1926 IL VESTITO ROSSO E LE UOVA ROTTE
C’è un’altra donna a Trecate che ricorda il 2 giugno 1946 con estrema lucidità, si chiama Marina ed è nata il 1 dicembre 1920, originaria di Mantova si è trasferita a Milano con i genitori per poi spostarsi a Romentino dove il marito lavorava. «Il 2 giugno sono andata a votare con un abito rosso, perché durante la guerra avevo un’abito uguale con le mie iniziali e al bar dei miei genitori una camicia nera me l’ha strappato» racconta, rivendicando il suo piccolo gesto di ribellione e la sua inossidabile fede repubblicana. Il 25 aprile del 1945 era già mamma di due figli e i suoi racconti sono interrotti dalla fatica, tutta umana, di riportare a galla quei momenti. A darle una mano, però, c’è Giannina, classe 1926, che inizia il suo racconto con un episodio «mentre tornavo a casa con mia mamma avevo un cestino di uova e l’ufficiale tedesco che ci ha fermate ha iniziato a romperle una ad una». Giannina racconta della mamma, ma soprattutto del papà con il quale ascoltava i messaggi di Radio Londra per impararli a memoria e consegnarli, in sella alla sua bicicletta, ai partigiani della zona «lo rifarei altre mille volte» dice, raccontando dell’8 settembre 1943 quando in casa sua si sono nascosti tre militari disertori che, poi, si sarebbero uniti alla Resistenza. Uno di questi, in forze al reparto del genio minatori di Casale, era nascosto sotto il suo letto e, anni dopo, sarebbe diventato suo marito.
RINA E LIDA – CLASSE 1932 E 1938 E LA BOMBA ALLA RISERIA
I momenti successivi all’armistizio sono anche nei ricordi di Rina, classe 1932, che racconta come «tutti i militari sono scappati e noi gli davamo i nostri vestiti per darsi alla macchia e non farsi riconoscere», ma che del 1943 ricorda anche la notte tra il 14 e il 15 agosto quando a Trecate è caduta una bomba nei pressi della riseria De Medici, uccidendo diverse persone. La ricorda quella notte e ricorda la fatica di rimanere nascosta in un canale asciutto nei pressi del ponte sulla roggia Mora e lo scoppio dell’ordigno. Rina è la più giovane tra le donne che abbiamo potuto intervistare e la sua testimonianza è, in alcuni tratti, mediata dai racconti familiari che negli anni successivi si sono tramandati. Come lei anche Lida, classe 1938, che è figlia dell’unico fotografo operante in città in quegli anni. Racconta la sua storia attraverso le fotografie del padre e ricorda perfettamente i suoi sacrifici per comprare al mercato nero il cibo per sfamare 4 figli.
Raccogliere queste testimonianze non è stato semplice. Il tempo, i ricordi che sfumano, le emozioni che ancora oggi fanno tremare la voce. Non sono testimonianze in senso accademico: non ci sono date esatte, documenti, archivi. Ma sono vere. Vere perché vissute, attraversate col corpo, con la paura, con la speranza. Ognuna di queste donne ci ha consegnato un frammento di memoria, un dettaglio che non si trova nei libri, ma che dà senso alla storia. Sono storie che parlano di scelte, di coraggio quotidiano, di libertà conquistata a caro prezzo. Ed è per questo che vanno ascoltate, custodite e tramandate. Perché, oggi più che mai, abbiamo bisogno di sapere da dove veniamo. E di ricordare, con le loro parole, che la libertà non è mai scontata.