Paolo Cortese: «La dignità negli occhi dei profughi non la dimenticherò mai»

Il comandante della Polizia locale di Novara, e coordinatore delle operazioni di accoglienza dei profughi ucraini, racconta l'emergenza a un anno di distanza

«Chiudo gli occhi e vedo ancora quelle donne disperate che arrivano con in braccio i loro bambini impauriti: molte di loro non sapevano neanche dove fossero, avevano con loro una sola valigia, a volte nemmeno quella, e non capivano una sola parola di italiano. Quello è stato uno dei momenti più bui, per certi aspetti anche peggio dell’emergenza Covid».

Inizia così il racconto di Paolo Cortese, comandante della Polizia locale di Novara, e coordinatore delle operazioni di accoglienza dei profughi ucraini che, un anno fa, allo scoppio dalla guerra, era in prima linea.

«Ricordo ancora la mattina del 25 febbraio – prosegue – ho telefonato al sindaco e gli ho detto che non potevamo stare a guardare, dovevamo fare qualcosa per la nostra comunità ucraina. In quel momento lui mi ha dato l’incarico di capire come fare e da lì è partita tutta la macchina organizzativa. In costante contatto con padre Yuriy, ho pensato a una struttura che potesse diventare il centro di accoglienza e mi è venuto in mente l’hotel Parmigiano. Ho parlato con la proprietaria, Patrizia Torresan, le ho spiegato la situazione e lei mi ha detto subito di sì. Il giorno dopo, una ventina di signore ucraine si sono recate sul posto e, altri due giorni, hanno pulito e sistemato tutto l’albergo, pronto per il 5 marzo quando sono arrivati i primi profughi. Il picco massimo l’abbiamo raggiunto con 96 persone, circa 1200 su tutto il territorio, la maggior parte ospitata dai parenti che già vivevano qui ma che comunque avevano bisogno di assistenza».

Nel frattempo tutta la comunità si era mobilitata per rendersi utile. «Una solidarietà incredibile da parte di privati cittadini, aziende e associazioni – continua Cortese -. In quel momento l’esigenza più urgente era l’ospitalità: tramite i servizi sociali del Comune, il Centro servizi del territorio aveva attivato il portale che raccoglieva le disponibilità ad accogliere in casa propria o mettendone a disposizione una: 156 le offerte che erano arrivate in meno di una settimana».

A oggi l’emergenza è finita «molti sono rimpatriate già in estate. Con i nostri pullman, sette in totale in cinque viaggi diversi, sono tornati in Ucraina circa 300 persone, altre in modo autonomo – aggiunge Cortese -. Qui in città ne sono rimaste più o meno quattrocento. Vederli ripartire mi sembrava surreale e un po’ mi è dispiaciuto: in quel momento mi è tornato in mente la prima volta che li ho visti arrivare a Novara dalle zone più colpite dalla guerra: ricordo la loro dignità nei loro occhi, in particolare di una signora di Mariupol che aveva dovuto nascondersi nei rifugi con i figli. Mi sono chiesto: se fosse successo a noi? Avrei voluto che i miei famigliari fossero accolti in modo umano e civile».

(In foto a destra insieme a padre Yuriy sotto la Cupola illuminata con i colori della bandiera italiana)

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Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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Paolo Cortese: «La dignità negli occhi dei profughi non la dimenticherò mai»

Il comandante della Polizia locale di Novara, e coordinatore delle operazioni di accoglienza dei profughi ucraini, racconta l’emergenza a un anno di distanza

«Chiudo gli occhi e vedo ancora quelle donne disperate che arrivano con in braccio i loro bambini impauriti: molte di loro non sapevano neanche dove fossero, avevano con loro una sola valigia, a volte nemmeno quella, e non capivano una sola parola di italiano. Quello è stato uno dei momenti più bui, per certi aspetti anche peggio dell’emergenza Covid».

Inizia così il racconto di Paolo Cortese, comandante della Polizia locale di Novara, e coordinatore delle operazioni di accoglienza dei profughi ucraini che, un anno fa, allo scoppio dalla guerra, era in prima linea.

«Ricordo ancora la mattina del 25 febbraio – prosegue – ho telefonato al sindaco e gli ho detto che non potevamo stare a guardare, dovevamo fare qualcosa per la nostra comunità ucraina. In quel momento lui mi ha dato l’incarico di capire come fare e da lì è partita tutta la macchina organizzativa. In costante contatto con padre Yuriy, ho pensato a una struttura che potesse diventare il centro di accoglienza e mi è venuto in mente l’hotel Parmigiano. Ho parlato con la proprietaria, Patrizia Torresan, le ho spiegato la situazione e lei mi ha detto subito di sì. Il giorno dopo, una ventina di signore ucraine si sono recate sul posto e, altri due giorni, hanno pulito e sistemato tutto l’albergo, pronto per il 5 marzo quando sono arrivati i primi profughi. Il picco massimo l’abbiamo raggiunto con 96 persone, circa 1200 su tutto il territorio, la maggior parte ospitata dai parenti che già vivevano qui ma che comunque avevano bisogno di assistenza».

Nel frattempo tutta la comunità si era mobilitata per rendersi utile. «Una solidarietà incredibile da parte di privati cittadini, aziende e associazioni – continua Cortese -. In quel momento l’esigenza più urgente era l’ospitalità: tramite i servizi sociali del Comune, il Centro servizi del territorio aveva attivato il portale che raccoglieva le disponibilità ad accogliere in casa propria o mettendone a disposizione una: 156 le offerte che erano arrivate in meno di una settimana».

A oggi l’emergenza è finita «molti sono rimpatriate già in estate. Con i nostri pullman, sette in totale in cinque viaggi diversi, sono tornati in Ucraina circa 300 persone, altre in modo autonomo – aggiunge Cortese -. Qui in città ne sono rimaste più o meno quattrocento. Vederli ripartire mi sembrava surreale e un po’ mi è dispiaciuto: in quel momento mi è tornato in mente la prima volta che li ho visti arrivare a Novara dalle zone più colpite dalla guerra: ricordo la loro dignità nei loro occhi, in particolare di una signora di Mariupol che aveva dovuto nascondersi nei rifugi con i figli. Mi sono chiesto: se fosse successo a noi? Avrei voluto che i miei famigliari fossero accolti in modo umano e civile».

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