Pestaggio con mazze da baseball in stazione, condannati due cittadini pakistani

I giudici hanno stabilito anche 2 mila euro di provvisionale come anticipo del risarcimento per la vittima, un connazionale degli aggressori

Arrestati un anno fa, a novembre, per un violento episodio di prevaricazione nei confronti di un connazionale, che era stato minacciato e picchiato con mazze da baseball, due cittadini pakistani di 31 e 28 anni da tempo abitanti a Novara, M.I. e Z.M., sono stati condannati a 1 anno e 3 mesi di reclusione per lesioni personali aggravate. I giudici hanno stabilito anche 2 mila euro di provvisionale come anticipo del risarcimento per la vittima, costituita parte civile. Gli imputati sono stati invece assolti dall’accusa di tentata estorsione e rapina, perché non è emersa prova che con minacce avessero portato via il cellulare del connazionale e qualche spicciolo dal portafogli. Il pm aveva chiesto la condanna a 3 anni per tutti i reati contestati, mentre il difensore dei due aveva concluso per l’assoluzione, tenuto presente che i suoi assistiti avevano parlato di una legittima difesa a provocazioni e questioni irrisolte all’interno del gruppo di pakistani.

Un episodio particolarmente brutale quello all’esame del tribunale. Un episodio riassunto in aula dalla vittima, un trentacinquenne magazziniere originario dello stesso paese che ancora oggi vive nella paura: «Sono dovuto scappare all’estero con la mia famiglia e mia moglie e i miei figli non sono più voluti tornare a Novara». Era avvenuto lo scorso 14 settembre dello scorso anno in piazza Garibaldi, sotto gli occhi di numerosi testimoni. Quel giorno A.U., la vittima, era seduta ai tavolini del bar sotto i portici della stazione, come sempre affollati, in compagnia di un amico. A un certo punto si era avvicinato un connazionale che improvvisamente aveva preso il cellulare appoggiato al tavolino. Erano state chieste spiegazioni: «Stai zitto, se non mi dai il telefono e i soldi ti ammazzo», la risposta. A.U. aveva cercato di reagire, inutilmente. Il suo aggressore aveva fatto una telefonata e in men che non si dica erano arrivati altri due pakistani, uno armato di mazza da baseball. Poi il pestaggio: Z.M., 28 anni, secondo la ricostruzione offerta dalla polizia all’autorità giudiziaria, aveva usato il bastone; M.I. aveva invece sferrato calci, pugni, schiaffi in varie parti del corpo. La vittima, mentre cercava inutilmente di ripararsi dalle mazzate, aveva sentito frasi come: «Colpitelo più forte, dovete ammazzarlo». Il violento pestaggio era durato qualche istante, poi gli aggressori erano scappati perché avevano intuito che qualcuno dei presenti aveva chiamato le forze dell’ordine.

Grazie ad alcune testimonianze e alla visione dei filmati, la Squadra Mobile aveva raccolto elementi per identificare due dei rapinatori. Ancora poco chiaro il movente del pestaggio: un amico della vittima ha avanzato in aula possibili problematiche fra connazionali per il lavoro.

E infatti al processo, proprio dalle testimonianze, è emerso un più vasto sottobosco ai limiti della legalità, spesso legato ad attività illecite commesse da personaggi di nazionalità pakistana, e fra queste la falsificazioni di documenti o patenti.

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Pestaggio con mazze da baseball in stazione, condannati due cittadini pakistani

I giudici hanno stabilito anche 2 mila euro di provvisionale come anticipo del risarcimento per la vittima, un connazionale degli aggressori

Arrestati un anno fa, a novembre, per un violento episodio di prevaricazione nei confronti di un connazionale, che era stato minacciato e picchiato con mazze da baseball, due cittadini pakistani di 31 e 28 anni da tempo abitanti a Novara, M.I. e Z.M., sono stati condannati a 1 anno e 3 mesi di reclusione per lesioni personali aggravate. I giudici hanno stabilito anche 2 mila euro di provvisionale come anticipo del risarcimento per la vittima, costituita parte civile. Gli imputati sono stati invece assolti dall’accusa di tentata estorsione e rapina, perché non è emersa prova che con minacce avessero portato via il cellulare del connazionale e qualche spicciolo dal portafogli. Il pm aveva chiesto la condanna a 3 anni per tutti i reati contestati, mentre il difensore dei due aveva concluso per l’assoluzione, tenuto presente che i suoi assistiti avevano parlato di una legittima difesa a provocazioni e questioni irrisolte all’interno del gruppo di pakistani.

Un episodio particolarmente brutale quello all’esame del tribunale. Un episodio riassunto in aula dalla vittima, un trentacinquenne magazziniere originario dello stesso paese che ancora oggi vive nella paura: «Sono dovuto scappare all’estero con la mia famiglia e mia moglie e i miei figli non sono più voluti tornare a Novara». Era avvenuto lo scorso 14 settembre dello scorso anno in piazza Garibaldi, sotto gli occhi di numerosi testimoni. Quel giorno A.U., la vittima, era seduta ai tavolini del bar sotto i portici della stazione, come sempre affollati, in compagnia di un amico. A un certo punto si era avvicinato un connazionale che improvvisamente aveva preso il cellulare appoggiato al tavolino. Erano state chieste spiegazioni: «Stai zitto, se non mi dai il telefono e i soldi ti ammazzo», la risposta. A.U. aveva cercato di reagire, inutilmente. Il suo aggressore aveva fatto una telefonata e in men che non si dica erano arrivati altri due pakistani, uno armato di mazza da baseball. Poi il pestaggio: Z.M., 28 anni, secondo la ricostruzione offerta dalla polizia all’autorità giudiziaria, aveva usato il bastone; M.I. aveva invece sferrato calci, pugni, schiaffi in varie parti del corpo. La vittima, mentre cercava inutilmente di ripararsi dalle mazzate, aveva sentito frasi come: «Colpitelo più forte, dovete ammazzarlo». Il violento pestaggio era durato qualche istante, poi gli aggressori erano scappati perché avevano intuito che qualcuno dei presenti aveva chiamato le forze dell’ordine.

Grazie ad alcune testimonianze e alla visione dei filmati, la Squadra Mobile aveva raccolto elementi per identificare due dei rapinatori. Ancora poco chiaro il movente del pestaggio: un amico della vittima ha avanzato in aula possibili problematiche fra connazionali per il lavoro.

E infatti al processo, proprio dalle testimonianze, è emerso un più vasto sottobosco ai limiti della legalità, spesso legato ad attività illecite commesse da personaggi di nazionalità pakistana, e fra queste la falsificazioni di documenti o patenti.

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