Secondo un’indagine svolta dall’Istituto Piepoli di Milano ad aprile 2022 sul disagio psicologico e rischio di suicidio come conseguenze del Covid, il 58% dei medici non si sente sicuro sul luogo di lavoro; il 71% riferisce stress e aumento del carico di lavoro, paura del contagio, problemi organizzativi; l’11% dei medici generici e il 4% degli ospedalieri dichiara patologie e disturbi di cui prima del Covid non soffriva. Tre quarti dei medici intervistati non riesce più a conciliare vita lavorativa e famiglia.
Una ricerca Anaao Lombardia di inizio 2022 su 958 medici ospedalieri riporta che il 71% di loro ha sofferto di burn-out; il 31,9% ha denunciato disturbi dello spettro ansioso; il 38,7% depressivi. A soffrire maggiormente di questi disturbi le donne e i giovani, per la maggior complessità dei carichi familiari le prime, per la minor esperienza i secondi.
Nel 2020 la Federazione dei Medici di Medicina Generale ha registrato sui propri aderenti un 37% con sintomi da sindrome depressiva, un 32% con sindrome post traumatica da stress, un 75% con disturbi legati all’ansia. Tra le principali cause scatenanti non essere stati dotati nelle prime fasi di dispositivi di protezione individuale (41%), non aver ricevuto informazioni adeguate per proteggere la propria famiglia (48%) né linee guida diagnostico terapeutiche per curare i pazienti (61%).
Dati allarmanti emersi durante l’ultima commissione Sanità in Regione che ha avviato i lavori di indagine sui disagi psicologici causati dalla pandemia con un focus sulle problematiche della professione medica.
«Mi fa piacere che la Regione abbia preso questa iniziativa. È un problema che mi sta a cuore e più volte ne abbiamo parlato in consiglio – afferma il presidente dell’Ordine dei medici di Novara, Federico D’Andrea -. Si tratta di una situazione mai vista con medici ospedalieri che vanno in pensione prima del dovuto, perdendoci dal punto di vista economico, perché non ce la fanno più. Un contesto particolarmente allarmante nei pronto soccorso dove è diventato quasi impossibile lavorare: non va bene che un paziente debba stare magari anche otto ore in attesa, ma questo succede perché il personale sanitario è sempre più esiguo: i risvolti legali spesso legati a minacce di denuncia o a comportamenti violenti da parte dei pazienti, sommati alla burocrazia dilagante, farebbero desistere chiunque».
Un problema che riguarda anche i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta: «Sul territorio novarese la situazione è abbastanza sotto controllo, però c’è carenza e ce ne sarà sempre di più con professionisti che se ne vanno perché non riescono più a reggere la pressione. Anche i medici di famiglia sono costretti a subire atteggiamenti aggressivi, che ormai sono diventati la norma, da parte dei pazienti che li identificano come responsabili di un sistema che non funziona. Per non parlare poi degli insulti e delle recensioni negative sui social».
«Finalmente le amministrazioni si sono rese conto che questa situazione non può più essere presa alla leggera, che è figlia di scelte sbagliate fatte in sanità dieci/quindici anni fa con limitazioni forti per le borse degli specialisti. Oggi le paghiamo le conseguenze e, con l’esperienza del Covid, non è più ammissibile» conclude il presidente.
«Le donne e i giovani hanno sofferto maggiormente a livello psicologico – commenta il presidente della commissione Sanità, Alessandro Stecco – Le prime, talvolta costrette ad abbandonare la casa familiare per evitare di trasmettere il Covid ai loro congiunti, sono state travolte non solo dalle incombenze lavorative ma anche dalle necessità personali. Ai giovani invece veniva a mancare l’esperienza nella gestione dello stress professionale. Un ulteriore problema è quello legato alle aggressioni fisiche e verbali e a una percezione di mancata sicurezza sul lavoro. Non essere sicuri nel luogo di lavoro, non solo per le situazioni correlate al Covid ma anche per le aggressioni, è una situazione diffusa e allarmante – aggiunge Stecco – che da sola giustifica l’importanza di questa indagine che ho fortemente voluto. Il fatto che le donne debbano maggiormente combattere con le conseguenze della pandemia mi spinge ulteriormente a volere approfondire nel migliore dei modi questo tema».
«Questi numeri ci dicono che non esiste un semplice ritorno alla situazione ante Covid – dichiarano i consiglieri Domenico Rossi, vicepresidente della commissione Sanità, e Daniele Valle, vicepresidente del consiglio regionale -. Il nostro personale, dopo anni di tagli, è stato sottoposto a un vero e proprio evento traumatico, con tutte le conseguenze ad esso connesso. Oggi è logorato da uno sforzo e una tensione prolungati che hanno lasciato il segno e che, in prospettiva, continua a persistere. Molti hanno reagito lasciando il posto di lavoro se non addirittura abbandonando la professione. Ogni ragionamento sul futuro della sanità deve tenere conto di tutto questo. Dobbiamo reagire subito, attivando percorsi di presa in carico e sostegno psicologico dedicati alle professioni medico infermieristiche, agli Oss, ai tecnici. D’altro canto, dobbiamo agire a monte ricostruendo condizioni di lavoro adeguate e funzionali, a partire dal numero degli addetti. Una delle principali cause del disagio è stata, infatti, la sensazione dell’inutilità del proprio lavoro, in una situazione di caos organizzativo e insufficienza di risorse. A questa bisogna rispondere con un rinnovato sforzo organizzativo e di programmazione, che al momento non riusciamo a vedere».