Aveva lanciato il suo appello in collegamento video dal carcere di massima sicurezza: «Ci sono delle persone che mi vogliono morto, la mia vita è in pericolo. Voglio parlare con un pubblico ministero». Dichiarazioni spontanee a sorpresa quelle che l’uomo, Pasquale C., detto «U Supremu», settantenne calabrese attualmente detenuto in regime di 41 bis per il suo passato legato alla ‘ndrangheta, aveva rilasciato in tribunale a Novara all’inizio del processo che lo vede imputato di lesioni e oltraggio a pubblico ufficiale. Proprio quando era nella casa circondariale di via Sforzesca a Novara, nel 2016, avrebbe aggredito gli agenti di polizia penitenziaria, minacciandoli e facendo riferimento al fatto di avere un certo spessore criminale e di non temere nulla.
Il giudice, accogliendo una richiesta della difesa, aveva disposto una perizia psichiatrica alla luce del fatto che l’imputato si rifiutava di partecipare all’udienza, non firmava la rinuncia alla presenza, e vaneggiava con frasi a caso paventando una situazione di pericolo per la sua vita, frasi che nulla avevano a che vedere coi fatti contestati: «Mi sento in pericolo. Ho già scritto anche delle lettere ai magistrati, che finora non sono state prese in considerazione».
L’altra mattina il perito nominato dal tribunale, intervenendo in aula, ha confermato i sospetti: l’imputato è incapace di intendere e volere, e incapace di stare in giudizio. Il processo, che continuerà a novembre, è quindi destinato a concludersi con un proscioglimento.
L’uomo è stato il capobastone (colui che prende le decisioni più importanti) dell’omonima famiglia, latitante dal 1990 al 18 febbraio 2008. E’ considerato uno dei numero uno della ‘ndrangheta e ha alle spalle quattro condanne all’ergastolo: i suoi affari spaziavano dalle tangenti alle estorsioni, dagli appalti al controllo di numerose attività economiche anche fuori dalla Calabria e all’estero.