Una condanna all’ergastolo, per il capo del gruppo di spacciatori che aveva organizzato l’appuntamento con la vittima per punirla di uno sgarro, e 21 e 22 anni di carcere per i suoi complici, partecipanti al pestaggio. Così si è concluso in Corte d’Assise a Novara il processo per il delitto avvenuto il 6 maggio 2022 nei boschi di Pombia, nell’ambito di una vendetta interna alle bande di spacciatori di origine marocchina.
Tre i pusher mandati a processo, ritenuti responsabili di aver teso un agguato all’amico per vendicarsi del fatto che lui tempo prima aveva rubato una partita di droga e soldi, approfittando della confusione legata a un blitz dei carabinieri, col fuggi fuggi generale: per punirlo gli avevano portato via il suo cellulare, poi lo avevano legato ai polsi e percosso per ore, anche con pietre e bastoni, per poi trasportare e abbandonare il corpo, sfigurato e irriconoscibile, in una piazzola di sosta in Lombardia, a Lonate Pozzolo. Il capo condannato all’ergastolo è latitante all’estero, come il complice condannato a 21 anni. Mentre il terzo imputato è attualmente detenuto e aveva collaborato nel ricostruire l’episodio, negando un suo ruolo attivo. Il pm aveva chiesto le pene concesse dai giudici, mentre le difese avevano chiesto l’assoluzione o comunque una derubricazione del reato di tortura cui è conseguita la morte.
Atri due marocchini sono stati prosciolti in base alla riforma Cartabia, perché irreperibili e quindi non a conoscenza del giudizio.
In base a quanto emerso a conclusione delle indagini, il corpo era stato trovato all’alba del 7 maggio 2022 in una piazzola di sosta sulla strada statale 336 nel comune di Lonate Pozzolo. Era stato lanciato un appello nelle province fra Piemonte e Lombardia, a caccia di persone che potessero fornire qualche informazione. Aveva diversi tatuaggi, sugli arti, sull’addome e sulla schiena.
Fin dall’inizio si era battuta la pista della droga. Qualche settimana dopo si era fatto vivo il padre e la vittima era stata identificata. Grazie a una serie di servizi di appostamento e alle intercettazioni, la polizia di Varese aveva verificato che il giovane spacciava nei boschi novaresi di Pombia, Oleggio, e Marano Ticino. Proprio in quella zona sarebbe stato torturato dagli altri componenti della sua banda per il presunto furto di droga. E, mentre gli praticavano le sevizie, alcuni del gruppo, fra cui anche la compagna del capo (poi fuggito all’estero), avevano chiamato il padre del ragazzo raccontando quanto stava accadendo. L’uomo, per liberare il figlio, si era reso disponibile a recuperare la cifra necessaria.
Aveva chiesto altro tempo, ma la morte del giovane era avvenuta prima che potesse recuperare la somma. Dai boschi novaresi il corpo era stato poi trasportato e abbandonato a Lonate. Secondo l’autopsia, il ventiquattrenne era morto per un arresto cardiorespiratorio dovuto al grave trauma cranico e a una serie di altre percosse.
Le indagini sul delitto si erano estese scoprendo tutta una serie di cessioni di droga, per le quali otto marocchini hanno già patteggiato, mentre altri saranno giudicati per competenza territoriale in Lombardia.