«Quasi 36 giorni di quarantena. Avremmo desiderato comunicazioni più precise»

Quasi 36 giorni di quarantena. E l’attesa di domani, 25 ottobre, è davvero elevata. Tra poco più di 24 ore, alle 10.15 di domenica, il nuovo tampone e poi ancora qualche ora per il responso: ancora malati oppure via libera alla vita di tutti i giorni. C’è un però: «Avremmo gradito comunicazioni più precise, a livello soprattutto pratico. Per esempio: mi è stato detto che comunque sia essendo trascorsi già 21 giorni potrò uscire, perché allora la necessità di un altro tampone?». A parlare è L.B., novarese, che da quasi 36 giorni appunto è in quarantena causa Covid e con lui ci sono anche la moglie e i due figli. I due coniugi hanno avuto sintomi dolorosi, per fortuna i ragazzi no. «In queste settimane ci siamo resi conto di quando le comunicazioni non siano uniformi, anzi, c’è parecchia confusione. E spesso la comunicazione se non è confusa manca in generale. Non vogliamo assolutamente puntare il dito, perché a livello umano siamo stati trattati molto bene, ma alcuni lacune a nostro parere ci sono e auspichiamo possano essere colmate».

La storia
L.B. è stato sottoposto a tampone, il primo, il 24 settembre, insieme alla moglie: entrambi positivi e con parecchi sintomi, che li hanno costretti a letto per qualche giorno. «Il 30 settembre lo hanno fatto anche i miei figli, anche loro risultati positivi, ma senza sintomi per fortuna, – racconta – abbiamo ricevuto per un po’ telefonate quotidiane da parte dell’Usca, abbiamo trovato tanta professionalità e attenzione, poi le telefonate sono diminuite, 2/3 al giorno, perché la situazione per fortuna migliorava sempre più. Abbiamo però constatato, e questo ci ha fatto arrabbiare, mancanza di informazioni, ci sono numeri di telefono e mail cui non risponde mai nessuno e ci siamo così sentiti abbandonati».

 

 

Non solo: il tampone dei figli, positivo, non è mai stato segnalato da Asl: «Ci siamo rivolti al nostro medico curante, mentre per quelli mio e di mia moglie la Asl ci aveva contattato».

Il 14 ottobre il secondo giro di tamponi, ancora tutti positivi. Quello del 25 ottobre sarà il terzo.

«E’ una brutta situazione senza comunicazioni perché per esempio a scuola gli insegnanti ci chiedono informazioni e non abbiamo nulla di concreto se non il dire che siamo in attesa, come di fatto è, – spiega L. B. – lo stesso ci succede sul fronte lavorativo. Non c’è una comunicazione precisa. Ho un altro esempio concreto: ho chiesto come avverrà il rientro alla vita normale, c’è chi mi ha detto che l’ok arriverà dal medico, chi che arriverà una mail dalla Asl, chi ancora che arriverà un sms che inviterà ad andare all’ufficio prelievi del sangue per ritirare il certificato. Chi avrà ragione? Non lo sappiamo, speriamo di essere informati per tempo. Abbiamo tanta voglia di tornare alla normalità, ma vogliamo poterlo fare rispettando tutte le regole e senza essere un rischio per gli altri».

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«Quasi 36 giorni di quarantena. Avremmo desiderato comunicazioni più precise»

Quasi 36 giorni di quarantena. E l’attesa di domani, 25 ottobre, è davvero elevata. Tra poco più di 24 ore, alle 10.15 di domenica, il nuovo tampone e poi ancora qualche ora per il responso: ancora malati oppure via libera alla vita di tutti i giorni. C’è un però: «Avremmo gradito comunicazioni più precise, a livello soprattutto pratico. Per esempio: mi è stato detto che comunque sia essendo trascorsi già 21 giorni potrò uscire, perché allora la necessità di un altro tampone?». A parlare è L.B., novarese, che da quasi 36 giorni appunto è in quarantena causa Covid e con lui ci sono anche la moglie e i due figli. I due coniugi hanno avuto sintomi dolorosi, per fortuna i ragazzi no. «In queste settimane ci siamo resi conto di quando le comunicazioni non siano uniformi, anzi, c’è parecchia confusione. E spesso la comunicazione se non è confusa manca in generale. Non vogliamo assolutamente puntare il dito, perché a livello umano siamo stati trattati molto bene, ma alcuni lacune a nostro parere ci sono e auspichiamo possano essere colmate».

La storia
L.B. è stato sottoposto a tampone, il primo, il 24 settembre, insieme alla moglie: entrambi positivi e con parecchi sintomi, che li hanno costretti a letto per qualche giorno. «Il 30 settembre lo hanno fatto anche i miei figli, anche loro risultati positivi, ma senza sintomi per fortuna, – racconta – abbiamo ricevuto per un po’ telefonate quotidiane da parte dell’Usca, abbiamo trovato tanta professionalità e attenzione, poi le telefonate sono diminuite, 2/3 al giorno, perché la situazione per fortuna migliorava sempre più. Abbiamo però constatato, e questo ci ha fatto arrabbiare, mancanza di informazioni, ci sono numeri di telefono e mail cui non risponde mai nessuno e ci siamo così sentiti abbandonati».

 

 

Non solo: il tampone dei figli, positivo, non è mai stato segnalato da Asl: «Ci siamo rivolti al nostro medico curante, mentre per quelli mio e di mia moglie la Asl ci aveva contattato».

Il 14 ottobre il secondo giro di tamponi, ancora tutti positivi. Quello del 25 ottobre sarà il terzo.

«E’ una brutta situazione senza comunicazioni perché per esempio a scuola gli insegnanti ci chiedono informazioni e non abbiamo nulla di concreto se non il dire che siamo in attesa, come di fatto è, – spiega L. B. – lo stesso ci succede sul fronte lavorativo. Non c’è una comunicazione precisa. Ho un altro esempio concreto: ho chiesto come avverrà il rientro alla vita normale, c’è chi mi ha detto che l’ok arriverà dal medico, chi che arriverà una mail dalla Asl, chi ancora che arriverà un sms che inviterà ad andare all’ufficio prelievi del sangue per ritirare il certificato. Chi avrà ragione? Non lo sappiamo, speriamo di essere informati per tempo. Abbiamo tanta voglia di tornare alla normalità, ma vogliamo poterlo fare rispettando tutte le regole e senza essere un rischio per gli altri».

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