Tutto sarebbe successo per questioni di «orgoglio famigliare» e di «difesa dell’onore». La donna aveva deciso di separarsi dal marito, fuggito all’estero per sottrarsi alla giustizia italiana, e i due fratelli sarebbero piombati a casa sua a Novara, armati di pistola e coltello, e minacciandola avrebbero costretto lei e il suo bambino a seguirli fino a un’abitazione di Beinate (Milano), dove madre e figlio erano stati segregati una notte per poi essere «consegnati» al latitante in Spagna tramite di un altro connazionale, ingaggiato ad hoc per il viaggio. Lei, così era emerso nel corso delle indagini, era «colpevole» di aver intrapreso una relazione extraconiugale con un altro uomo.
Una sorta di rapimento, quello consumatosi oltre dieci anni fa il 29 aprile 2012 fra Novara e il Milanese, per cui sono ora a processo due cittadini albanesi, A.B., barista di 45 anni, e A.A., di 52, residente a Trecate: sono accusati di sequestro di persona nei confronti della sorella quarantenne e del nipote minorenne, oltre che di minaccia e di detenzione e porto di armi.
In famiglia quella relazione clandestina non era per nulla gradita: sia la donna che l’amante erano entrambi sposati con altre persone. Un’onta cui doveva essere posto rimedio. A tale scopo i due imputati avrebbero organizzato il violento «ricongiungimento» della sorella col marito, nel frattempo scappato in Spagna perché aveva problemi con la giustizia. Al tempo stesso anche l’amante kosovaro della donna non era stato esente da minacce: la notte del 9 giugno di quell’anno, infatti, a Magenta l’uomo era stato ferito gravemente per strada a colpi di pistola. Di quel tentato omicidio vennero accusati proprio A.B. e un altro fratello, uno in qualità di esecutore e l’altro di mandante. Condannati in tribunale a Milano a 13 anni di carcere in primo grado, sono stati poi assolti dalla Corte d’Appello lombarda per insufficienza di prove. Il loro difensore è riuscito a dimostrare che la sera dei fatti i due non potevano trovarsi a Magenta. Nel corso del processo è emerso che già in precedenza l’uomo aveva subito un pestaggio, ma non da parte dei fratelli. Archiviata la vicenda del ferimento, a Novara restano in piedi le accuse legate al sequestro: la vittima in aula non si è presentata. Non ha nemmeno ritirato la citazione. E’ probabile un suo timore nel dover ripercorrere quei fatti. Ci sono però le intercettazioni, e c’è il suo racconto fatto al telefono alla polizia, mai verbalizzato in atti ufficiali proprio per paura di ritorsioni. Ma ha deposto arriva un’amica della donna, abitante all’epoca nello stesso rione, in una traversa di corso Vercelli. Si è affrettata a dire: «Poi ha ridimensionato tutto, ha ritrattato», riferendosi alle confidenze ricevute. I giudici vogliono vederci chiaro e tenteranno ancora di trovare la vittima.