Quattro anni fa gli era stata inflitta una condanna pesante in contumacia, 3 anni e mezzo di carcere per estorsione e spaccio. Questo perché minacciava di morte un suo acquirente di cocaina che, per quella dose di droga, era perfino finito in ospedale con un arresto cardiaco. Ma di quel processo, lui, non aveva saputo nulla. Non era nemmeno colpa sua. Essendo cambiate le regole per il dibattimento in assenza dell’imputato, rappresentato da un difensore d’ufficio con cui mai aveva avuto contatti, ora il processo è da rifare. E.D., 34 anni, abitante a Novara, deve essere nuovamente giudicato: aveva saputo della condanna solo quando le forze dell’ordine erano andate ad arrestarlo per portarlo in carcere a scontare la pena. Il nuovo legale ha sollevato il caso alla Corte d’Appello di Torino, che ha ordinato la «rescissione del giudicato» annullando la pena di 3 anni e mezzo, liberando il trentenne, e rimandando gli atti a Novara: «L’imputato non era informato del processo».
Secondo quanto viene contestato al trentenne, il 28 marzo 2015 aveva venduto 9 grammi di cocaina a un conoscente. La droga non era stata pagata completamente perché il compratore non aveva con sé contanti sufficienti a coprire tutta la fornitura. Ma soprattutto perché, una volta rientrato a casa, aveva avuto un arresto cardiaco ed era stato portato in ospedale. Aveva consumato la dose in un mix assieme ad alcol. Poco dopo erano cominciate le richieste minacciose da parte del pusher. Una volta dimesso, il cliente novarese aveva indicato alla polizia il responsabile delle estorsioni. L’uomo, e l’amica coinquilina che aveva visto i messaggi minatori al cellulare (e lei stessa ne aveva ricevuti), fornirono il soprannome con cui era conosciuto il pusher nell’ambiente, poi identificato in E.D. Quest’ultimo nega ogni cessione e sostiene che i soldi da lui chiesti non abbiano nulla a che fare con lo spaccio.