Scrive frasi diffamatorie sui social, ma è prosciolto perchè il sindaco lo “perdona”

Il novarese era già stato condannato a 2 anni per aver sfondato con l’auto il portone del municipio. Aveva pubblicato in più occasioni post diffamatori nei confronti del primo cittadino e di altri ex amministratori

Scrive su Facebook che il sindaco tutela i mafiosi, ma il primo cittadino non ha mai presentato querela per quei fatti. E il cittadino «molesto», M.D.F., 38 anni, novarese già condannato a 2 anni per aver sfondato con l’auto il portone del municipio nell’agosto di due anni fa (leggi qui), viene prosciolto in tribunale: il giudice ha pronunciato il non doversi procedere per mancanza di querela.

L’imputato è un abituèe dei commenti social non sempre appropriati. Questa volta, però, il sindaco Alessandro Canelli l’ha perdonato. Al centro del nuovo processo una vicenda che risale al novembre del 2019. Inserendosi in una discussione che riguardava l’operato dell’amministrazione comunale, aveva «postato» delle frasi che non erano passate inosservate alla Digos. Ed era stato quindi aperto un autonomo fascicolo per diffamazione: «Ha offeso la reputazione del sindaco», secondo gli investigatori. In più occasioni, sia in precedenza sia successivamente a questo fatto, l’uomo aveva insistentemente sottoposto ai politici novaresi, di ogni schieramento, la situazione della sua famiglia: a suo dire avrebbe investito e perso 500 mila euro per una tabaccheria da realizzare alla ex Rotondi di Novara, mai aperta per questioni burocratiche e problemi con la proprietà.

Il 19 novembre 2019 era tornato alla carica: «Mi avete messo ko col vostro assenteismo per tutelare chi? Dei mafiosi? Tutti tranne noi che abbiamo perso 500 mila euro nella ex Rotondi», si legge nel post. E ancora: «Non ha mosso proprio un dito – rinvolgendosi al primo cittadino – ma per aiutare i truffatori le dita sono state mosse in Comune? Fatemi capire che razza di gente siete. Li vede i miei figli? Li guardi bene perché ha distrutto la loro vita, il loro lavoro, non facendo il suo mestiere da sindaco, non ha mai mosso un solo dito per tutelare la mia famiglia, non parliamo delle donne. Di fare il suo lavoro da sindaco stiamo aspettando che si degni». Frasi offensive, secondo la procura. Tra l’altro, le vicende personali di cui parla il novarese sono molto risalenti nel tempo, addirittura agli anni Ottanta, quando Canelli non svolgeva ancora attività politica in Comune.

L’imputato è già stato «bannato» da molti amministratori cittadini per i suoi commenti spesso offensivi su Facebook, anche in pagine pubbliche. Lo scorso anno era già stato prosciolto – sempre perché in base alle nuove normative è richiesta la querela della parte offesa per poter andare avanti – per una vicenda analoga a quella di Canelli, ma ai danni dell’ex assessore al commercio della giunta Ballarè, Sara Paladini, che nel 2015 era stata vittima di frasi preoccupanti («A scherzare col fuoco ci si brucia», e «Qua finisce male»). Anche lei aveva preferito chiudere un occhio e non presentare denuncia davanti al giudice.

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Scrive frasi diffamatorie sui social, ma è prosciolto perchè il sindaco lo “perdona”

Il novarese era già stato condannato a 2 anni per aver sfondato con l’auto il portone del municipio. Aveva pubblicato in più occasioni post diffamatori nei confronti del primo cittadino e di altri ex amministratori

Scrive su Facebook che il sindaco tutela i mafiosi, ma il primo cittadino non ha mai presentato querela per quei fatti. E il cittadino «molesto», M.D.F., 38 anni, novarese già condannato a 2 anni per aver sfondato con l’auto il portone del municipio nell’agosto di due anni fa (leggi qui), viene prosciolto in tribunale: il giudice ha pronunciato il non doversi procedere per mancanza di querela.

L’imputato è un abituèe dei commenti social non sempre appropriati. Questa volta, però, il sindaco Alessandro Canelli l’ha perdonato. Al centro del nuovo processo una vicenda che risale al novembre del 2019. Inserendosi in una discussione che riguardava l’operato dell’amministrazione comunale, aveva «postato» delle frasi che non erano passate inosservate alla Digos. Ed era stato quindi aperto un autonomo fascicolo per diffamazione: «Ha offeso la reputazione del sindaco», secondo gli investigatori. In più occasioni, sia in precedenza sia successivamente a questo fatto, l’uomo aveva insistentemente sottoposto ai politici novaresi, di ogni schieramento, la situazione della sua famiglia: a suo dire avrebbe investito e perso 500 mila euro per una tabaccheria da realizzare alla ex Rotondi di Novara, mai aperta per questioni burocratiche e problemi con la proprietà.

Il 19 novembre 2019 era tornato alla carica: «Mi avete messo ko col vostro assenteismo per tutelare chi? Dei mafiosi? Tutti tranne noi che abbiamo perso 500 mila euro nella ex Rotondi», si legge nel post. E ancora: «Non ha mosso proprio un dito – rinvolgendosi al primo cittadino – ma per aiutare i truffatori le dita sono state mosse in Comune? Fatemi capire che razza di gente siete. Li vede i miei figli? Li guardi bene perché ha distrutto la loro vita, il loro lavoro, non facendo il suo mestiere da sindaco, non ha mai mosso un solo dito per tutelare la mia famiglia, non parliamo delle donne. Di fare il suo lavoro da sindaco stiamo aspettando che si degni». Frasi offensive, secondo la procura. Tra l’altro, le vicende personali di cui parla il novarese sono molto risalenti nel tempo, addirittura agli anni Ottanta, quando Canelli non svolgeva ancora attività politica in Comune.

L’imputato è già stato «bannato» da molti amministratori cittadini per i suoi commenti spesso offensivi su Facebook, anche in pagine pubbliche. Lo scorso anno era già stato prosciolto – sempre perché in base alle nuove normative è richiesta la querela della parte offesa per poter andare avanti – per una vicenda analoga a quella di Canelli, ma ai danni dell’ex assessore al commercio della giunta Ballarè, Sara Paladini, che nel 2015 era stata vittima di frasi preoccupanti («A scherzare col fuoco ci si brucia», e «Qua finisce male»). Anche lei aveva preferito chiudere un occhio e non presentare denuncia davanti al giudice.

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