Sentenza definitiva per il killer dei boschi di Pombia: deve scontare 30 anni

tribunale il caldo
La Cassazione ha respinto il ricorso presentato da Antonio Lembo, l’assassino reo confesso dell’operaio di Busto Arsizio, Matteo Mendola

Sentenza definitiva. La Cassazione ha respinto il ricorso presentato da Antonio Lembo, l’assassino reo confesso dell’operaio di Busto Arsizio, Matteo Mendola, 33 anni: dovrà quindi scontare 30 anni di reclusione, la pena che gli era stata inflitta in primo grado a Novara nel 2019. Il delitto è quello avvenuto il 4 aprile 2017 nei boschi di Pombia, in frazione San Giorgio. Quel giorno la vittima, per questione economiche pregresse legate al gruppo di gelesi da tempo abitanti nella cittadina lombarda, era stata attirata con una trappola nella valle del Ticino – la scusa di andare tutti assieme a commettere dei furti in villa nel Novarese – e poi aggredita: Lembo aveva sparato alcuni colpi di pistola e, aiutato dal cognato Angelo Mancino, già condannato tempo fa con sentenza definitiva a 30 anni, ha poi fracassato il cranio dell’operaio con una vecchia matteria d’auto trovata fra i rifiuti, per nascondere infine il cadavere in una vecchia fabbrica dismessa. Sul fatto avevano indagato i carabinieri di Novara, che pian piano avevano messo assieme tutti i tasselli.

Il killer, nella sua confessione, aveva indicato quale mandante del delitto l’imprenditore Giuseppe Cauchi, anche lui di Busto Arsizio, condannato qualche mese fa in Appello a 26 anni di reclusione (era stato assolto in primo grado). Proprio in virtù della confessione Lembo sperava in uno sconto di pena rispetto al complice Mancino. E il cavillo della concessione delle circostanze attenuanti ha innescato un lungo iter giudiziario fatto di ricorsi e nuovi processi: l’Appello aveva confermato i 30 anni, la prima Cassazione aveva annullato la sentenza sostenendo che la pena dovesse essere rideterminata con la concessione delle generiche; il secondo Appello le aveva concesse ma il calcolo della pena non era cambiato. Di qui un secondo ricorso in Cassazione e una seconda udienza a Roma, dove però la richiesta della difesa è stata respinta. La sentenza è quindi definitiva.

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La Cassazione ha respinto il ricorso presentato da Antonio Lembo, l’assassino reo confesso dell’operaio di Busto Arsizio, Matteo Mendola

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Sentenza definitiva. La Cassazione ha respinto il ricorso presentato da Antonio Lembo, l’assassino reo confesso dell’operaio di Busto Arsizio, Matteo Mendola, 33 anni: dovrà quindi scontare 30 anni di reclusione, la pena che gli era stata inflitta in primo grado a Novara nel 2019. Il delitto è quello avvenuto il 4 aprile 2017 nei boschi di Pombia, in frazione San Giorgio. Quel giorno la vittima, per questione economiche pregresse legate al gruppo di gelesi da tempo abitanti nella cittadina lombarda, era stata attirata con una trappola nella valle del Ticino – la scusa di andare tutti assieme a commettere dei furti in villa nel Novarese – e poi aggredita: Lembo aveva sparato alcuni colpi di pistola e, aiutato dal cognato Angelo Mancino, già condannato tempo fa con sentenza definitiva a 30 anni, ha poi fracassato il cranio dell’operaio con una vecchia matteria d’auto trovata fra i rifiuti, per nascondere infine il cadavere in una vecchia fabbrica dismessa. Sul fatto avevano indagato i carabinieri di Novara, che pian piano avevano messo assieme tutti i tasselli.

Il killer, nella sua confessione, aveva indicato quale mandante del delitto l’imprenditore Giuseppe Cauchi, anche lui di Busto Arsizio, condannato qualche mese fa in Appello a 26 anni di reclusione (era stato assolto in primo grado). Proprio in virtù della confessione Lembo sperava in uno sconto di pena rispetto al complice Mancino. E il cavillo della concessione delle circostanze attenuanti ha innescato un lungo iter giudiziario fatto di ricorsi e nuovi processi: l’Appello aveva confermato i 30 anni, la prima Cassazione aveva annullato la sentenza sostenendo che la pena dovesse essere rideterminata con la concessione delle generiche; il secondo Appello le aveva concesse ma il calcolo della pena non era cambiato. Di qui un secondo ricorso in Cassazione e una seconda udienza a Roma, dove però la richiesta della difesa è stata respinta. La sentenza è quindi definitiva.

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